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Orlanda Sassu - s’acabadora
Testimonianza di Orlanda Sassu
S'acabadoraLa signora Orlanda Sassu racconta della figura dell’acabadora.
Questa figura esisteva nell’Ottocento. Questa donna “lavorava” di nascosto per mettere fine alle sofferenze dei malati. Si recava dalle persone in fin di vita e usava un martello per colpirli in testa.
“Aici ddus acabàt” - dice Orlanda Sassu, cioè li “finiva”, da qui il termine s’acabadora. -
Orlanda Sassu - feste, usanze e canzonette
Testimonianza di Orlanda Sassu
Feste, usanze e canzonetteLa signora Orlanda Sassu racconta di feste, usanze e canti.
La Pasqua era una bella festa. C’erano delle usanze particolari: il giovedì santo si cercava di liberare la casa dal male con bastoni e scope che andavano sbattuti in aria per mandare via il demonio. Il venerdì santo, invece, si evitava di mangiare non solo la carne, ma tanto altro. Si rispettava un rigoroso digiuno. Forse anche per questo, il giorno di Pasqua era una grande festa. A tavola si era felici, considerando che quotidianamente si mangiava sempre poco, con la presenza di un lauto banchetto veniva il buonumore e si cantavano canzoni.
Le feste erano tutte molto amate, in particolare Santa Maria. Per l’occasione le strade si riempivano di persone, soprattutto lungo l’attuale via Santa Maria, via Gramsci, viale Libertà e via Matteotti. Una lunga fila di tavoli e baracche (le odierne bancarelle) vestivano a festa il paese. I bambini si incantavano davanti ai giochi, gli adulti venivano attirati dai torroni e altri sapori, ma anche dagli spazi dove si cantava a turno fino a tarda notte. E poi si chiudeva la serata assaporando sa carapìnnia.
Tra le usanze, ormai perse, c’era quella di lavare i panni al fiume. Allora non c’erano le lavatrici e le donne si bagnavano fino alle ginocchia nell’acqua gelida per fare il bucato, d’inverno e d’estate. A sfregare i panni andavano all’alba: era un’operazione che richiedeva tempo. Si preparavano poi i recipienti dove i panni venivano fatti bollire per ore (un’ora per i panni poco sporchi, due ore per quelli più sporchi) con cenere ed erbe, degni sostituti del detersivo. Mentre si lavorava sodo le donne cantavano, un po’ per passare il tempo, un po’ per dimenticare la fatica. -
Aldo Serpi - s’acabadora
Testimonianza di Aldo Serpi
S’acabadoraIl signor Aldo Serpi racconta dell’acabadora.
S’acabadora era quella donna che alleviava la sofferenza dei malati terminali (malati di mandigadori, forse il tumore di oggi) e li aiutava a morire. Esisteva anche a Guspini. Per uccidere i sofferenti usava uno strumento in legno, simile a una sorta si bastone con una base piatta, che ricordava il martello e li colpiva in testa. -
Aldo Serpi - l’uccisione del maiale
Testimonianza di Aldo Serpi
L’uccisione del maialeIl signor Aldo Serpi racconta dell’uccisione del maiale.
L’uccisione del maiale era una grande festa per tutta la famiglia. All’evento partecipava tutto il vicinato. Si parla di animali che pesavano 250-300 chilogrammi che potevano soddisfare per un po’ di tempo la fame di molte bocche. Dell’animale non si buttava proprio nulla: si ricavava la carne da cuocere, ma anche la salsiccia, la pancetta, le frattaglie e persino il sangue. Quest’ultimo, condito con l’uva passa, diventava un’ottima base per dolci, come i ravioli soffiati (is cruguxonis de bentu).
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Guspini in una panoramica degli anni Trenta.
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Guspini in una panoramica del 2008.
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Il municipio come lo si vedeva ai primi del Novecento. Oggi la vista è coperta da nuove costruzioni.
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Palazzo municipale, scorcio della facciata su via Don Minzoni.
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L’aula consiliare del Comune di Guspini, elegantemente arredata ai primi del Novecento con mobili in legno massiccio, pareti e volta sono riccamente decorate.
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Affresco sulla volta dell’aula consiliare del Comune di Guspini.
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Affresco sulla volta di una sala del palazzo comunale di Guspini.
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Via Don Minzoni su cui si affaccia il Municipio.
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Piazza XX Settembre in una cartolina degli anni Trenta.
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Anni Trenta. Raduno fascista in piazza XX Settembre: (al centro) Balilla e Giovani Italiane.
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Scorcio della piazza XX Settembre dall’alto della gradinata della parrocchiale di San Nicolò.
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Sulla piazza XX Settembre si affaccia il mercato civico di San Nicolò e la biblioteca comunale intitolata a Sergio Atzeni (a sinistra).
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Pinuccio Sciola, Il seme della solidarietà, opera posta nelle aiuole che delimitano piazza XX Settembre verso la via Mazzini.
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Anni Sessanta. La corriera della SITA (Società Italiana Trasporti Automobilistici) parte dalla piazza IV Novembre, verso via Gramsci e la strada statale 126.
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Monumento ai caduti in guerra nella piazza IV Novembre.
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Corso Vittorio Emanuele (oggi via Gramsci), in una cartolina degli anni Venti.
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Via Gramsci (già Corso Vittorio Emanuele), nel 2008.
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Via Umberto I (oggi via Mazzini) in una cartolina dei primi del Novecento.
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Via Mazzini (già via Umberto I), nel 2008.
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Hotel Antica Casa Sanna, nato dalla ristrutturazione di una casa padronale di fine Ottocento, si trova nella via Mazzini vicinissimo al centro storico.
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Viale Libertà in una foto degli anni Sessanta. A sinistra, uno scorcio della falegnameria artigiana specializzata in ruote per carri.
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Viale Libertà nel 2008.
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Anni Cinquanta. Il bar di Luigi Dessì, in via Santa Maria.
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Hotel Santa Maria, prende nome dalla via in cui si trova, vicinissimo all’omonima chiesa, oggi interamente ristrutturato è la più antica struttura ricettiva di Guspini.
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Sa mitza (sorgente o fontana) de Santa Maria, appena sotto la via Santa Maria. Is mitzas, diffuse in tutto il paese, erano l’unica fonte di approvvigionamento di acqua potabile dei guspinesi.
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Sa mitza (sorgente o fontana) de Santa Maria, appena sotto la via Santa Maria. La fontana è stata recentemente restaurata dall’Amministrazione comunale.
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Anni Cinquanta. L’acqua da bere in casa si prende alla fontana. Nella foto, quattro ragazze rientrano con le brocche da Sa mitza de Anna Arru: (da sinistra) Marisa Collu, Mirella Uras, Claudia Fais, Graziella Marroccu.
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Anni Quaranta. Al rubinetto pubblico (grifoni), verso la via Gramsci.
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Il distributore Esso di via Gramsci in una cartolina degli anni Cinquanta.
La via Gramsci è senz’altro la via più lunga di Guspini: dal centro storico si congiunge alla strada statale 126.
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Il distributore Esso di via Gramsci, nel 2008.
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I giardini pubblici, di recente sistemati dall’Amministrazione comunale, alla convergenza della strada per Montevecchio e la Costa Verde (l’antica bia de sa mena) e la via Gramsci.
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Monumento al minatore, simbolo della storia mineraria guspinese, opera di Giuseppe Vasari, si trova al centro dei giardini di via Marconi.
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Monumento al minatore, simbolo della storia mineraria guspinese, opera di Giuseppe Vasari, si trova al centro dei giardini di via Marconi.
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Il cippo che indica l’inizio della bia de sa mena (la strada della miniera) che porta a Montevecchio e alla Costa Verde, oggi detto familiarmente “Sa bòcia”, è ben conosciuto da tutti i guspinesi che scelgono proprio quel punto come luogo d’incontro. La frase tipica è: “Ci vediamo a sa bòcia”.
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Sul cippo è inciso: “Strada da Guspini alle Miniere di Montevecchio. Costruita nel 1868”.
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Vista a volo d’uccello dell’Hotel Tarthesh, dall’antico nome di Tartesso, città mitica atlantidea ubicata da alcuni storici in Sardegna, è un raffinato complesso dal gusto esotico ispirato alle dimore principesche del medio oriente.
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La corte centrale dell’Hotel Tarthesh, arricchita da vasche d’acqua corrente, su cui si affacciano il ristorante, il bar e alcune stanze.
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La piscina dell’Hotel Tarthesh.
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I giardini dell’Hotel Tarthesh.
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Panoramica dell’Hotel Sa Rocca. La struttura sorge alla periferia del paese sulla strada per Gonnosfanadiga.
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Il Centro fieristico, di recente realizzazione, detto “PalaPip” è tra i più grandi in Sardegna.
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I basalti colonnari. Il monumento naturalistico si trova all’interno del paese ed è costituito da una parete di prismi basaltici verticali, accostati secondo la caratteristica forma a “canne d’organo”. I prismi, alti circa 20 metri, hanno avuto origine dal raffreddamento graduale della lava, che ha creato una perfetta fessurazione verticale delle colonne. La particolare conformazione e nettezza dei tagli ne fa uno degli esempi di maggior rilievo nell’isola e in Europa.
Foto dell’archivio comunale - Elio Gola.399600 - images/morfeoshow/il_paese_ier-7929/big/043 paese_ieri_oggi_guspini.jpg
Monte Majori, con la sua vetta di 725 metri, è la cima più alta di Guspini. Il caratteristico rilievo di conglomerato basaltico ospita, sulla cima e sulle pendici, un bellissimo bosco. All’interno del bosco vivono il cervo sardo, l’aquila reale e l’aquila del Bonelli, il falco pellegrino e la rara pernice sarda.
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Monte Majori, con la sua vetta di 725 metri, è la cima più alta di Guspini. Il caratteristico rilievo di conglomerato basaltico ospita, sulla cima e sulle pendici, un bellissimo bosco. All’interno del bosco vivono il cervo sardo, l’aquila reale e l’aquila del Bonelli, il falco pellegrino e la rara pernice sarda.
Foto dell’archivio comunale - Elio Gola.600399 - images/morfeoshow/il_paese_ier-7929/big/045 paese_ieri_oggi_guspini.jpg
Un magnifico esemplare di cervo sardo (Cervus elaphus corsicanus) fotografato nei boschi di Monte Majori.
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Coltivazione di età romana in località Rocca stampada (roccia forata). Fine anni Venti.
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Recipienti in piombo, di probabile età romana, rinvenuti in miniera nel 1928.
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Fine XIX secolo. Cantieri di Levante, Pozzo di Sant’Antonio. Batteria di crivelli sardi.
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1896. Officina Principe Tomaso. Il bambino vestito alla marinara è Giovanni Antonio Castoldi, figlio del direttore Alberto Castoldi e di Zely, l’ultima delle quattro figlie di Giovanni Antonio Sanna.
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1906-7. Interno della Laveria Principe Tomaso.
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Panoramica della Laveria Principe Tomaso, oggi.
Foto di Elio Gola.399600 - images/morfeoshow/miniere-2147/big/007 miniere_guspini.jpg
Panoramica della Laveria Principe Tomaso, oggi.
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Vascone di decantazione della Laveria Principe Tomaso, oggi.
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Anni Trenta. Carreggio dei vagoncini a mano.
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Anni Trenta. Cernitrici di minerale a Montevecchio.
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Anni Trenta. Cernitrici di minerale a Montevecchio.
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Anni Trenta. Mulino Krupp per la frantumazione del minerale.
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1935. Cernitrici della miniera di Montevecchio. Chi usa gli zoccoli, chi lavora scalza.
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1940. Cantieri di Levante. Panoramica degli impianti di trattamento del minerale, in primo piano il pozzo di Sant’Antonio.
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1940. Cantieri di Levante. Panoramica degli impianti di trattamento del minerale, in primo piano la teleferica per il trasporto del minerale grezzo dai Cantieri di Ponente.
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1940. Cantieri di Levante. In primo piano la palazzina degli uffici, le officine, la falegnameria, la fonderia.
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1940. L’impianto di flottazione del Cantiere di Levante dalla stazione “Principe” della teleferica.
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Anni Quaranta. Montevecchio. Panoramica degli impianti di Levante, si nota sulla destra il grande ammasso di scorie della lavorazione del minerale.
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Fine anni Trenta-Quaranta. La Stazione di Sciria. La ferrovia, costruita dalle Miniere di Montevecchio, collegava direttamente i Cantieri di Levante col nodo di interscambio con le ferrovie statali a San Gavino.
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Fine anni Quaranta. Gruppo di minatori posa sulla locomotiva della linea Sciria-San Gavino.
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1935. Un lungo convoglio trasporta il minerale lavorato verso San Gavino.
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Anni Trenta. Minatori in discesa nel Pozzo Sant’Antonio.
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1962. Pozzo Sartori. Allargamento tra i livelli 14 e 18. Si notano le guide per le gabbie e il rivestimento in cemento armato. A sinistra, la protezione per il passaggio del personale; a destra, i tubi per l’acqua, l’aria compressa, l’energia elettrica.
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1962. Ingresso alla ricetta di Pozzo Sartori (Levante) al livello 18 di Sant’Antonio – Centinata in ferro.
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Un tornio all’interno delle officine dei Cantieri di Levante. Le officine, restaurate, ospitano ogni due anni i coltellinai di Arresojas, la mostra mercato del coltello sardo.
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Il maglio meccanico delle officine dei fabbri dei Cantieri di Levante. Ancora funzionante, viene utilizzata per gli workshop sulla lavorazione dell’acciaio durante Arresojas, la mostra mercato del coltello sardo.
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1967. Miniera di Montevecchio, Cantieri di Levante. Panoramica del Pozzo Faina dalla stazione “Principe” della teleferica.
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Miniera di Montevecchio. Preparazione di una volata.
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Miniera di Montevecchio, Cantieri di Levante. Gli ingressi degli ascensori del Pozzo Sartori.
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Miniera di Montevecchio, Cantieri di Levante. La torre del pozzo Sartori.
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Anni Quaranta. Miniera di Montevecchio, Cantieri di Ponente. Panoramica degli impianti; in alto a destra il Pozzo Sanna.
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Anni Quaranta. Miniera di Montevecchio, Cantieri di Ponente. La torre del Pozzo Fais.
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Anni Cinquanta-Sessanta. Miniera di Montevecchio, Cantieri di Ponente. Pozzo Sanna, livello San Giorgio, gradino 3 Ponente. Gradino armato e perforatrice a fucile Ingersoll CCII.
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Anni Sessanta. Miniera di Montevecchio. Perforazione con martello BBR 13.
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Anni Trenta. Miniera di Montevecchio, Cantieri di Levante. Laveria Piccalinna; a sinistra il Pozzo San Giovanni.
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Fine anni Novanta. Il Pozzo San Giovanni prima del restauro.
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Il Pozzo San Giovanni oggi.
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Miniera di Montevecchio, Cantieri di Levante. La miniera di Piccalinna oggi.
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Anni Sessanta. Un minatore di Montevecchio opera una perforazione.
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Anni Quaranta. Miniera di Montevecchio, Cantieri di Ponente. Il Pozzo Amsicora, il castello e la stazione della teleferica.
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Il Pozzo Amsicora oggi. Intestato nel 1881, è l'ultimo pozzo a chiudere nel 1991, dopo 110 anni di attività.
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Il Pozzo Amsicora. Sulla facciata la data di costruzione dell’edificio: “ANNO 1938 XVI”.
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Il contesto paesaggistico in cui sorge il Pozzo Amsicora.
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Pozzo Amsicora. Gli argani degli ascensori del pozzo.
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Anni Sessanta. La diga “Guido Donegani” costruita nel 1950: alta 32 metri e lunga 132, contiene 308.000 metri cubi d’acqua.
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Montevecchio. Minatore intesta un foro di mina.
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Anni Venti-Trenta. I Carabinieri della Stazione di Montevecchio pattugliano la zona dei “Cameroni degli Austriaci”, così chiamati perché durante la prima guerra mondiale alloggiarono i prigionieri di guerra deportati a Montevecchio.
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Anni Quaranta. Le case per operai del Villaggio Righi (1936), parte di un grosso programma di espansione della miniera legato all’autarchia.
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Anni Quaranta. Le case per operai del Villaggio Righi. Nel 1936, insieme al Righi, venne costruita un’altra palazzina a Sant’Antonio e trasformati in case per operai i fabbricati della ex Laveria di Piccalinna, per un totale di 252 alloggi per famiglie e 82 per operai scapoli.
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Anni Quaranta. Montevecchio. Ospedale (1870) e veduta esterna dell’infermeria.
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Anni Quaranta. Montevecchio, viale del Mare. Palazzine per operai.
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Anni Quaranta. Alloggi per operai: salottino.
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Anni Quaranta. Dormitorio per minatori: cameroni.
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Anni Quaranta. Montevecchio, viale del Mare. Case per impiegati.
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Anni Quaranta. Nuove case per impiegati: salotto.
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Anni Quaranta. Montevecchio, viale dello Stadio. Abitazioni dei dirigenti e foresteria. Le due palazzine (1930) sono immerse nel verde della pineta. La prima contiene quattro appartamenti di lusso con relativi sotterranei; la seconda ospita 16 piccoli alloggi perfettamente attrezzati, la grande sala ristorante e la sala biliardo.
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Anni Quaranta. Foresteria: sala biliardo.
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Miniera di Montevecchio. Preparazione di una volata.
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Miniera di Montevecchio. Il Palazzo della direzione sorge nell’abitato di Gennas (ormai nota come Montevecchio), nello spiazzo denominato “spianamento” per i lavori di preparazione alla costruzione che hanno letteralmente spianato il colle originario. La Palazzina della direzione era il cuore pulsante degli stabilimenti minerari di Montevecchio e, secondo l’idea originaria di Giovanni Antonio Sanna, avrebbe dovuto ospitare gli uffici amministrativi, la propria abitazione e una piccola chiesa.
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Miniera di Montevecchio, Palazzo della direzione. Uno scrupoloso lavoro di restauro ha permesso di riportare alla luce i fasti nei quali la famiglia Sanna ha vissuto a cavallo tra il XIX e il XX secolo.
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Miniera di Montevecchio, Palazzo della direzione. Sul prospetto orientale sorge la chiesetta dedicata a Santa Barbara, patrona dei minatori.
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Miniera di Montevecchio, Palazzo della direzione. In primo piano l’ingresso agli uffici dell’amministrazione delle miniere.
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Miniera di Montevecchio, Palazzo della direzione. Sull’arco dell’ingresso padronale lo stemma della Miniera di Montevecchio.
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Miniera di Montevecchio, Palazzo della direzione. Costruito su una pianta rettangolare, l’edificio, di forme classicheggianti e neorinascimentali, si sviluppa su tre piani intorno a un ampio chiostro centrale.
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Miniera di Montevecchio, Palazzo della direzione. Sull’ampio chiostro centrale si affaccia, lungo tre lati, un porticato dalle volte a crociera decorate con motivi a grottesca. Alle spalle dell’ingresso principale si trova la piccola chiesa dedicata a Santa Barbara, patrona dei minatori.
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Miniera di Montevecchio, Palazzo della direzione. La Sala Blu, è la vera protagonista del palazzo: destinata agli incontri ufficiali e ai ricevimenti, deve il suo nome alle decorazioni che ne ricoprono completamente le pareti e la volta.
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Miniera di Montevecchio, Palazzo della direzione. La Sala Blu: vi si trova uno dei numerosi camini dell’appartamento, attorno al quale si sviluppa un ricco salotto di poltrone, divani e specchi dorati che, insieme a un maestoso pianoforte a coda, decora l’ampia sala, un tempo teatro di feste e serate musicali.
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Miniera di Montevecchio, Palazzo della direzione. Sala Blu. Contrariamente a quanto avvenuto nel resto dell’edificio, trasformato totalmente in sede amministrativa della miniera, la sala è stata mantenuta integra nella sua maestosità come locale dirigenziale e di rappresentanza.
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Miniera di Montevecchio, Palazzo della direzione. La sala del biliardo.
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Miniera di Montevecchio, Palazzo della direzione. La sala da pranzo padronale con la tavola sontuosamente apparecchiata.
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Miniera di Montevecchio, Palazzo della direzione. La sala da pranzo della servitù. È sufficiente una rampa di scale per far svanire i fasti borghesi e lasciare spazio, nel sottotetto, ad ambienti più modesti.
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Miniera di Montevecchio, Palazzo della direzione. Un’ampia cucina, caratterizzata dai numerosi tegami e utensili in rame appesi alle pareti: gli spazi nei quali si muoveva la servitù, che nel Palazzo lavorava e dimorava.
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Miniera di Montevecchio, Cantieri di Levante. Sulla strada che sale da Guspini a Montevecchio si trova l’ingresso ai Cantieri di Levante. Partendo dal Centro accoglienza è possibile la visita delle Officine, della miniera di Piccalinna, della miniera di Sant’Antonio, delle abitazioni operaie, della Galleria Anglosarda.
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Miniera di Montevecchio, Cantieri di Levante. Salendo verso il Centro accoglienza si incontrano gli edifici che ospitavano le lavorazioni del minerale estratto dal Pozzo Sartori che torreggia sullo sfondo.
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Miniera di Montevecchio, Cantieri di Levante. Sulla destra l’Officina meccanica costruita nel 1938 e ampliata nel 1948. Era dotata della più moderna strumentazione tecnica per lavori di piccola e grossa carpenteria, per la riparazione e il montaggio di macchinari da lavoro e per la normale manutenzione dei mezzi di trasporto. Sullo sfondo la fonderia, risalente al 1885 e rimodernata nel 1912, ospitava gli impianti per la fusione di tutti i getti in ghisa e piombo degli elementi meccanici necessari all’ordinaria manutenzione degli impianti di miniera e per la costruzione di nuovi macchinari.
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Miniera di Montevecchio, Cantieri di Levante. L’officina per la forgiatura e la tempera dei fioretti, rimodernata e ampliata nel 1912, costituiva un laboratorio di fondamentale importanza per la costruzione e la manutenzione degli utensili metallici necessari all’attività in miniera. I fabbri perpetuavano così, nella moderna produzione mineraria, un’arte antica che per secoli ha caratterizzato questo territorio.
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Miniera di Montevecchio, Cantieri di Levante. La miniera di Piccalinna, scoperta nel 1874, si estende per circa 370 ettari. Nel piazzale di Piccalinna una serie di edifici, tutti con muratura in pietra faccia a vista, decori in laterizi e una certa ricercatezza architettonica, costituiscono quello che in passato era il nucleo operativo di questo cantiere minerario: il Pozzo San Giovanni e la lampisteria, la sala argano, la sala compressori e la cabina elettrica, la laveria Piccalinna, gli uffici e la forgia.
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Miniera di Montevecchio, Cantieri di Levante. Il Pozzo San Giovanni venne scavato, con una profondità di 100 metri, intorno agli anni Settanta dell’Ottocento e venne poi approfondito sino alla quota di 400 metri. L’edificio, realizzato in basalto a vista con conci irregolari e cornici in laterizi attorno alle aperture e nei marcapiani, per forme e proporzioni ricorda il torrione di un castello medievale posto a dominio dell’intero cantiere.
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Miniera di Montevecchio, Cantieri di Levante. All’interno della sala argano si trova ancora l’imponente macchina d’estrazione, inizialmente a vapore ed elettrificata intorno agli anni Trenta. Ubicata in asse rispetto al pozzo, serviva alla movimentazione delle gabbie.
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Miniera di Montevecchio, Cantieri di Levante. Il Pozzo Sant’Antonio, la miniera di Sant’Antonio, faceva parte della prima concessione mineraria rilasciata, a Giovanni Antonio Sanna, dal re Carlo Alberto nel 1848. L’omonimo pozzo, uno dei più suggestivi di Montevecchio, domina il cantiere. La torre merlata, realizzata in stile neogotico, secondo lo stile in voga in quegli anni, mascherava la struttura industriale necessaria al duro lavoro di estrazione che si svolgeva all’interno del pozzo.
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Miniera di Montevecchio, Cantieri di Levante. Iniziati nel 1853, gli scavi del Pozzo Sant’Antonio, portarono alla realizzazione di sedici livelli di estrazione. Nella foto, il potente compressore per l’areazione sino alla profondità di oltre 500 metri.
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Miniera di Montevecchio, Cantieri di Levante. Adibito un tempo a caserma e abitazioni per gli impiegati, il Deposito Minerali, insieme agli alloggi operai, alle stalle, alla casa del custode e alla vecchia laveria Rio, si trova all’interno dell’area indicata attualmente come “Complesso del Rio” che deve il suo nome all’omonima laveria, la prima della miniera, costruita nel 1853 nel cantiere di Sant’Antonio.
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Miniera di Montevecchio, Cantieri di Levante. Gli alloggi degli operai: pochi ambienti, arredati in modo semplice ed essenziale. Utensili della quotidianità e mobili modesti arredano fedelmente le unità abitative proiettando il visitatore nell’atmosfera originaria della vita dell’epoca.
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Un rullo compressore abbandonato dal 1991 all’interno dei Cantieri di Levante.
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La struttura diroccata del nastro trasportatore del materiale di scarto dei Cantieri di Levante.
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Miniera di Montevecchio, Cantieri di Levante. La Galleria Anglosarda. L’unica galleria visitabile delle Miniere di Montevecchio, prende il nome dalla compagnia “La Piemontese - Compagnia Reale Anglosarda” alla quale la Società di Montevecchio nel 1852 appaltò lo scavo per accelerare i lavori e migliorare gli introiti.
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L’ingresso di Monte Tempo, museo enciclopedico di Guspini. Il museo, che appartiene al sistema museale “Domus”, è stato allestito in quella che fu la sede del Monte Frumentario di Guspini.
Progetto culturale e di allestimento di Ojos design, Cagliari.
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Monte Tempo, il Tempo di Guspini. Si passa di tempo in tempo: il Tempo della piazza, il Tempo libero, il Tempo del viaggio, il Tempo dei cibi, della casa, della miniera, del lavoro, della guerra, delle lotte... raccontati in una prospettiva che, pur prendendo spunto dal locale, riveste interesse universale.
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Monte Tempo, il Tempo della storia. Monte Tempo regala il tempo che conserva attraverso scritture di storie, di citazioni, di testimonianze; lo illustra con immagini fotografiche contemporanee e d’epoca, con riproduzioni di manifesti e documenti storici.
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Monte Tempo, il Tempo della miniera e delle lotte. Da questa struttura, lampi di luce accarezzano le vecchie pareti per proiettarci memorie recenti di una società che faceva fulcro sulla miniera.
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Monte Tempo, il Tempo del viaggio. Nel percorso di visita si incontrano grandi proiezioni sulle pareti o monitor in piccole nicchie; i racconti filmati, parlati e suonati, ci raccontano del passato più recente.
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Monte Tempo, il Monte Granatico. Il Monte Frumentario o Monte Granatico di Guspini venne istituito nel 1686.
Conosciuto con il nome di su magasinu de su monti (il magazzino del monte), la sua funzione era quella di prestare il grano occorrente per la semina ai contadini più poveri, sottraendoli così agli usurai senza scrupoli. In cambio, chi riceveva il prestito s’impegnava a prestare gratuitamente la propria opera nei terreni di proprietà della Chiesa.
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Monte Tempo, il Tempo della piazza. La pedana per i laboratori didattici. La socialità e le istituzioni, il luogo del loro racconto è, nell’allestimento, anche un comodo luogo dove sedersi e imparare.
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Monte Tempo, il Tempo del paesaggio. Il percorso di visita è libero, il visitatore può percorrere circoli o anelli diversi e intersecati, ogni sezione esaurisce in sé un tema.
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Monte Tempo, il Tempo de su fastìgiu. Il fulcro, fisico e narrativo, è il “Tempo de su fastigiu”, del corteggiamento, del fidanzamento, delle nozze raccontati a due voci da donne e uomini.
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Monte Tempo, il Tempo delle lotte. È qui, con la chiusura – nel 1991 – dell’ultimo pozzo della miniera, che si fermano i tempi conservati nel Monte Tempo.
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Monte Tempo, il logotipo, disegnato da Ojos design su caratteri in legno degli anni Trenta conservati dalla tipografia Garau di Guspini.
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Casa Murgia. Tipica casa campidanese ottocentesca in làdiri di ricchi proprietari, oggi Museo del vino e dell’olio – Centro di documentazione e illustrativo delle attività legate alla viticoltura e olivicoltura – inserito nel sistema museale “Domus”. L’esposizione, distribuita sui tre piani dell’edificio, è dedicata alle attività antropiche del territorio, in particolare quelle legate alla vite e all’ulivo, con possibilità di acquistare prodotti locali tradizionali.
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La corte di Casa Murgia dal lato della lolla e del magasinu de su binu.
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Il carro a buoi ancora conservato sotto la lolla di Casa Murgia.
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Nella lolla di Casa Murgia sono conservati attrezzi e strumenti della vita contadina.
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La camera da pranzo di casa Murgia, uno degli ambienti ricostruiti per l’allestimento del Museo del vino e dell’olio.
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La cucina di casa Murgia, uno degli ambienti ricostruiti per l’allestimento del Museo del vino e dell’olio.
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Su magasinu de su binu, uno degli ambienti ricostruiti per l’allestimento del Museo del vino e dell’olio.
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Il primo piano di Casa Murgia ospita allestimenti dedicati ai lavori e ai prodotti stagionali; in questa foto, la sezione del museo dedicata all’estate.
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La Casa Agus-Atzeni. In fase di allestimento, è destinata a divenire il Centro di documentazione e museo dell’arte fabbrile e del coltello. Casa a corte che testimonia i caratteri di una tipologia edilizia tipica guspinese: muri in làdiri, cortile in acciottolato e loggiato che si diparte dal grande portone d’ingresso in legno.
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Case a corte, in fase di allestimento, sono destinate a divenire il Centro di documentazione e illustrativo delle attività legate all’apicoltura e casearie. È un complesso di architettura tradizionale in làdiri, i cui spazi rispondono alle funzioni tipiche legate al lavoro agricolo, di trasformazione e conservazione dei prodotti.
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Mulino Garau. Imponente impianto elettrico per la molitura dei cereali, utilizzato dalla comunità guspinese dagli anni Quaranta fino ai Settanta, è attualmente in fase di allestimento, destinato a divenire il Centro di documentazione e museo delle attività cerealicole tradizionali.
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Arresojas, biennale del coltello sardo. Il manifesto dell’edizione 2011. L’uomo in costume di Bono con le mani su una grande leppa, ritratto da Dalsani in un suo acquerello dell’Ottocento, è stato l’icona che ha accompagnato la comunicazione di Arresojas in tutte le sue edizioni.
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Arresojas, biennale del coltello sardo. Il fulcro della mostra sono i Cantieri di Levante, nella foto, della Miniera di Montevecchio. Le officine e altri spazi della miniera ospitano le esposizioni dei coltellinai, i workshop sull’acciaio damasco e le mostre storiche e culturali che da sempre affiancano e caratterizzano la mostra mercato.
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Arresojas, biennale del coltello sardo. Il locale delle Officine ospita l’esposizione dei coltellinai “hobbisti” che ogni due anni espongono numerosi le loro opere.
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Arresojas, biennale del coltello sardo. La ricca produzione di un coltellinaio.
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Arresojas, biennale del coltello sardo. Il pubblico, sempre numeroso e curioso, assicura il ripetersi del successo della manifestazione.
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Arresojas, biennale del coltello sardo. La fantasia dei coltellinai vola: in questa foto un suggestivo servizio per estrarre le lumache dal guscio.
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Arresojas, biennale del coltello sardo. La fonderia, in cui ancora sono visibili i forni, le sagome, gli stampi e altri strumenti per la fusione, ospita i coltellinai più rinomati.
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Arresojas, biennale del coltello sardo. L’officina per la forgiatura ospita workshop e dimostrazioni di forgiatura dell’acciaio damasco. In questa foto, due grandi maestri coltellinai: Alexandre Musso giunto dalla Corsica e Hank Knickmeyer, statunitense.
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Arresojas, biennale del coltello sardo. Alexandre Musso forgia con il maglio meccanico un “pacchetto” di acciaio damasco.
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Arresojas, biennale del coltello sardo. Alexandre Musso forgia con il maglio meccanico un “pacchetto” di acciaio damasco.
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Arresojas, biennale del coltello sardo. Una barra e due lame semilavorate di acciaio damasco mosaico.
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Arresojas, biennale del coltello sardo. Nei suggestivi locali che una volta ospitavano la falegnameria della miniera si trova il punto di ristoro e di ritrovo di Arresojas.
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Arresojas, biennale del coltello sardo. Arresojas non è “solo” coltelli ma, sin dalla sua prima edizione, esplora e divulga la storia del coltello e la cultura delle lame. In questa foto, un allestimento in un edificio del “Complesso del Rio” nei Cantieri di Levante.
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Arresojas, biennale del coltello sardo. Gli allestimenti di Arresojas occupano di volta in volta spazi diversi e sempre più ampi nell’intero complesso delle Miniere di Montevecchio. In questa foto, l’allestimento di “Sa leppa, la lama dei sardi” nei locali dell’ex spaccio della miniera.
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Arresojas, biennale del coltello sardo. “Sa leppa, la lama dei sardi” è stata una delle mostre più interessanti allestita da Arresojas.
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Arresojas, biennale del coltello sardo. “Sa leppa, la lama dei sardi” allestita, in una successiva edizione, nei suggestivi locali dell’ex cernita del Pozzo di Sant’Antonio.
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Arresojas, biennale del coltello sardo. La Palazzina della direzione delle miniere ha ospitato, sin dalle prime edizioni, numerosi allestimenti. Nella foto, un pannello e una teca di una mostra monografica sul grande coltellinaio Francesco Pachì.
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Arresojas, biennale del coltello sardo. Il Comune di Guspini ha creato nel tempo una importante collezione di lame storiche. Nella foto, un’installazione di leppe.
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Arresojas, biennale del coltello sardo. Gli interessi culturali di Arresojas non si arrestano alla Sardegna. Nella foto, una parte della collezione di lame etniche acquistate dal Comune per la mostra “Le lame del mondo”.
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Arresojas, biennale del coltello sardo. La storia, la tradizione e le sue trasformazioni nel contemporaneo sono un altro dei temi importanti di Arresojas. Nella foto, un allestimento sull’ossidiana e sulle lame che ancora oggi vengono realizzate in quel materiale da Giuseppe Cabras.
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Perdas longas (pietre lunghe), menhir in località Corte Semuccu (III-II millennio a.C.).
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Perdas longas (pietre lunghe), fotografati da Francesco Lampis, imprenditore guspinese e appassionato archeologo vissuto nei primi del Novecento, le cui dettagliate relazioni manoscritte erano spesso accompagnate da disegni di reperti, piante e sezioni di monumenti, fotografie.
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La vasta piana in cui sono eretti i menhir Perdas longas.
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Il menhir Prunas, fittamente decorato di coppelle, età neolitica (6000-3200 a.C.).
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Nuraghe Melas o Fumiu, età nuragica, 3200-1200 a.C.
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Nuraghe Melas, lato nord ovest.
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Nuraghe Melas, lato nord ovest, fotografato dal Taramelli, archeologo e direttore del Servizio di Antichità della Sardegna ai primi del Novecento.
Foto dell’archivio comunale.600450 - images/morfeoshow/archeologia-8504/big/008 archeologia_guspini.jpg
La pianura del guspinese è presidiata da una fitta rete di nuraghi. Nella foto, il nuraghe Bruncu e s’orcu visto dal nuraghe Melas.
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Cortina occidentale del nuraghe Bruncu e s’orcu.
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Particolare della cortina occidentale del nuraghe Bruncu e s’orcu fotografata, nel 1899, da Padre Peter Paul McKay.
Domenicano, oltre essere uomo di chiesa, era anche un po’ geologo, zoologo, astronomo ma soprattutto archeologo interessato alla civiltà nuragica e preistorica. Percorre per due anni la Sardegna lasciando un’imponente e bella documentazione fotografica di nuraghi, menhir, tombe di giganti e domus de janas.
Foto dell’archivio comunale.600442 - images/morfeoshow/archeologia-8504/big/011 archeologia_guspini.jpg
Lo stesso particolare della cortina occidentale del nuraghe Bruncu e s’orcu fotografato nel 2008.
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Pozzo sacro Sa mitza de Nieddinu, complesso nuragico dedicato al culto delle acque riconducibile al bronzo finale (1200-900 a.C.).
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Pozzo sacro Sa mitza de Nieddinu. La scalinata d’accesso con nove gradini.
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Il rilievo del pozzo sacro Sa mitza de Nieddinu disegnato da Francesco Lampis nel 1920.
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La pianura del guspinese è presidiata da una fitta rete di nuraghi. Nella foto, la fortezza nuragica di Saurecci vista dal nuraghe Melas.
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La fortezza di Saurecci è un complesso fortificato di età nuragica, databile all’età del ferro (900-500 a.C.), con massicce mura a pianta romboidale con quattro torri agli apici.
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La fortezza di Saurecci. Vista a volo d’uccello e sezioni della fortezza fatte disegnare da Alberto della Marmora e pubblicate, nel 1860, in Itinerario dell’Isola di Sardegna.
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La torre orientale della fortezza nuragica di Saurecci, l’unica dei quattro torrioni originari ancora in buono stato di conservazione, fotografata da Padre McKay nel 1899.
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La torre orientale della fortezza nuragica di Saurecci fotografata da Antonio Taramelli nei primi del Novecento.
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La torre orientale della fortezza nuragica di Saurecci fotografata nel 2008.
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La tholos della torre orientale della fortezza nuragica di Saurecci.
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Il paramento murario rivolto a est della fortezza nuragica di Saurecci.
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Il paramento murario rivolto a est della fortezza nuragica di Saurecci nella foto di Padre McKay del 1899.
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Incisione dal rilievo compiuto dal Taramelli della fortezza nuragica di Saurecci.
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La pianura del guspinese vista dal lato sud della torre orientale della fortezza nuragica di Saurecci.
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Neapolis, città punica, romana e poi porto commerciale sino al medioevo, era ubicata sulla costa centro occidentale dell’isola, all’estremità sud orientale del Golfo di Oristano e all’interno della laguna di Marceddì. La vediamo in uno schizzo del 1858 del canonico Giovanni Spano, fonte fondamentale per la conoscenza dell’antica Neapolis, che, oltre alla pubblicazione di alcuni ritrovamenti archeologici, effettuò nel sito la prima campagna di scavo a fini scientifici, tramandandoci anche i disegni di particolari architettonici, come l’acquedotto, oggi non più esistenti.
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Le terme di Neapolis nei rilievi del canonico Giovanni Spano.
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Le terme di Neapolis in una foto di una campagna di scavo dell’agosto 1963.
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Un sigillo in smeraldo di età punico-greca ritrovato a Neapolis.
Foto dell’archivio comunale – Elio Gola.439600
I musei "Domus"
Gli sforzi delle amministrazioni comunali di Guspini per la riconversione culturale ed economica del paese non si sono limitati alle miniere ma interessano direttamente il paese con l’acquisizione di diversi edifici storici e la loro conversione in musei, in un percorso urbano denominato “Domus” e inserito all’interno del Parco culturale Giuseppe Dessì. Al compimento del progetto sono previste cinque realtà museali integrate in una cura etnografica che consentirà al visitatore di conoscere e approfondire la realtà storica delle produzioni agroalimentari e artigiane del paese.
Il percorso prende avvio dall’edificio che un tempo ospitava il Monte Granatico. Il Monte Frumentario o Monte Granatico di Guspini venne istituito nel 1686. Conosciuto con il nome di su magasinu de su monti (il magazzino del monte), la sua funzione era quella di prestare il grano occorrente per la semina ai contadini più poveri, sottraendoli così agli usurai senza scrupoli. In cambio, chi riceveva il prestito s’impegnava a prestare gratuitamente la propria opera nei terreni di proprietà della Chiesa.
In questo edificio è stato inaugurato nel 2010 il Monte Tempo che, definito “museo enciclopedico di Guspini”, affronta tutti gli aspetti della storia e della cultura materiale del guspinese in un continuo confronto sincronico con eventi e temi omologhi del resto del mondo. Il visitatore passa di tempo in tempo: il Tempo della piazza, il Tempo libero, il Tempo del viaggio, il Tempo dei cibi, della casa, della miniera, del lavoro, della guerra, delle lotte... Monte Tempo regala il tempo che conserva attraverso scritture di storie, di citazioni, di testimonianze; lo illustra con immagini fotografiche contemporanee e d’epoca, con riproduzioni di manifesti e documenti storici.
A poca distanza Casa Murgia, una signorile casa campidanese ottocentesca in làdiri appartenuta a proprietari terrieri, è allestita oggi come Museo del vino e dell’olio e Centro di documentazione e illustrativo delle attività legate alla viticoltura e olivicoltura. L’esposizione, distribuita sui tre piani dell’edificio, è dedicata alle attività antropiche del territorio, in particolare quelle legate alla vite e all’ulivo, con possibilità di acquistare prodotti locali tradizionali. Il piano terra ricostruisce gli ambienti domestici della cucina e del salotto di famiglia e, con ingresso dalla corte, su magasinu de su binu. Nel piano superiore, invece, le tradizionali pratiche agricole, legate all’olivicoltura e alla viticoltura, sono narrate nel succedersi delle stagioni dell’annata agricola; oggetti, manufatti e pannelli illustrano il ciclo della semina, del raccolto, della trasformazione.
Gli altri spazi, già restaurati e in fase di allestimento, sono Casa Agus–Atzeni, casa a corte che, con i suoi muri in làdiri, il cortile in acciottolato e il loggiato che si diparte dal grande portone d’ingresso in legno, testimonia i caratteri di una tipologia edilizia tipica guspinese ed è destinata a divenire il Centro di documentazione e museo dell’arte fabbrile e del coltello; le Case a corte, un complesso di architettura tradizionale in làdiri i cui spazi rispondono alle funzioni tipiche legate al lavoro agricolo, di trasformazione e conservazione dei prodotti, destinate a divenire il Centro di documentazione e illustrativo delle attività legate all’apicoltura e casearie e il Mulino Garau, imponente impianto elettrico per la molitura dei cereali, utilizzato dalla comunità guspinese dagli anni Quaranta fino ai Settanta, destinato a divenire il Centro di documentazione e museo delle attività cerealicole tradizionali.
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