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Delia Atzeni - racconti
Testimonianza di Delia Atzeni
RaccontiLa signora Delia ci parla dei contus de forredda, così chiamati perché venivano raccontati davanti al camino, in genere dal nonno (nannai) o dalla nonna (iaia).
Il primo racconto parla della nascita di Gesù Bambino (Ninnighiteddu), la notte del ventiquattro dicembre.
Quando il re Erode diede l’ordine di uccidere tutti i bambini nati in quell’anno o prossimi alla nascita, Maria con Giuseppe preoccupati per il loro bambino in arrivo, decisero di partire senza meta precisa. Portarono poche cose e un asinello su cui viaggiava Maria. Nel paesaggio nevicato notarono una luce particolare e non capirono se si trattasse di una stella o della luna. Ben presto capirono che era una stella che li indirizzava in una grotta dove trovarono rifugio. Nella grotta c’era un bue cui affiancarono l’asinello, così come raffigurato nel Sacro Presepe. Proprio quella notte nacque su Ninnighiteddu. La mattina seguente quando Maria lavò i panni di Gesù, chiese a Giuseppe di stenderli fuori poiché non ne possedevano altri; poiché intorno era pieno di neve, Giuseppe scosse una pianta con il proprio bastone per buttar giù la neve e lì vi stese i panni. Quando Maria uscì dalla grotta si accorse che i panni erano già asciutti e accarezzando la pianta disse:
“Pranta santa, benedita ses de sa manu mia, as a portai frutu in dònnia tempus”.
(Pianta santa benedetta, dalle mie mani, porterai frutto in ogni stagione).
La pianta del corbezzolo (olioni) porta frutti in ogni stagione dell’anno.Il secondo racconto è quello della notte di San Silvestro, quando le giovani fanciulle (bagadieddas) prendevano ramoscelli di mirto (murta) pieni di bacche e allo scattare della mezzanotte li passavano tra le fiamme. Le bacche si staccavano e cadevano. Chi riusciva ad afferrarle mentre cadevano giù si sarebbe fidanzata, se nubile, o sposata, se promessa sposa, entro l’anno.
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Giovanni Atzeni - altri tempi
Testimonianza di Giovanni Atzeni
Altri tempiIn passato, nonostante le gravose condizioni di povertà, il signor Giovanni e la sua famiglia riuscivano a condurre una vita discreta. Sin da piccoli ci si avvicinava al mondo del lavoro; le mansioni maggiormente richieste riguardavano il pascolo di animali (pecore, maiali e buoi), il coltivare la terra e il curare i vigneti di proprietà della famiglia. Questo evidenzia la situazione dell’epoca, in cui era molto più importante avere la manodopera rispetto all’istruzione scolastica che, infatti, non era obbligatoria.
Il signor Giovanni ci racconta, inoltre, della difficoltà negli spostamenti dal paese. Per raggiungere Cagliari, ad esempio, era necessario recarsi a piedi all’alba nel paese di Donori, distante qualche chilometro, e da lì prendere il treno. -
Giovanni Atzeni - l’aereo caduto
Testimonianza di Giovanni Atzeni
L’aereo caduto a Pranu de PisciGiovanni Atzeni racconta del 10 febbraio del 1942 quando precipitò un S79 dell’Aeronautica militare sulle colline che circondano Sant’Andrea Frius. La mattina seguente all’incidente, diffusasi la notizia, gli abitanti del paese salirono sull’altopiano per manifestare la propria solidarietà. Il signor Giovanni, allora militare, venne informato dell’accaduto da un amico. Il padre, Fulgenzio Atzeni, andò con i buoi e il carro a recuperare le salme. Nell’altopiano chiamato Pranu de Pisci c'è oggi una croce in ferro arrugginita, alta circa un metro, con l’incisione della data 10.02.1942.
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Savina Casula - altri tempi
Testimonianza di Savina Casula
Altri tempiLa signora Savina ricorda di quando era giovane. Racconta che erano tempi difficili, ma la sua famiglia non viveva in condizioni di estrema miseria perché il padre, contadino e allevatore, assicurava alla famiglia tutto il necessario.
Durante la seconda guerra mondiale la signora Savina lavorava in un collegio femminile a Cagliari. Durante i bombardamenti, insieme alle suore e alle ragazze, si rifugiava nel sotterraneo del collegio. Quando venne preso di mira anche il collegio fu costretta ad abbandonare il lavoro e a fare ritorno a casa.
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Panoramica di Sant’Andrea Frius.
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Panoramica di Sant’Andrea Frius.
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Panoramica di Sant’Andrea Frius.
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Panoramica di Sant’Andrea Frius.
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Panoramica di Sant’Andrea Frius innevato.
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Ingresso di una casa tipica sant’andriese con doppio arco, fine Ottocento.
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Casa tipica sant’andriese, fine Ottocento.
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Casa tipica sant’andriese, fine Ottocento.
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Copertura di una casa tipica sant’andriese di fine Ottocento.
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Casa tipica sant’andriese in via Meucci, fine Ottocento.
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Casa antica sant’andriese in via Cavour, zona storica del paese.
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Murales in via Garibaldi.
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Chiesa di Sant’Andrea Apostolo, ricostruita negli anni Cinquanta su una preesistente del Settecento.
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Mosaico policromato sul frontone della facciata della chiesa di Sant’Andrea Apostolo.
Nel mosaico è raffigurato il santo titolare in atto di pescare e rappresenta l’episodio del vangelo in cui Gesù sceglie gli apostoli per l’evangelizzazione.
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Colonna con la statua della Madonna del Carmelo, anni Sessanta.
La colonna è stata fatta erigere dal medico condotto del periodo, il dottor Pibiri, nella casa di Giovanni Aru, in via Garibaldi.
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Crocifisso in legno, affisso per le vie del paese, indicante una delle quindici stazioni della Via Crucis.
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Anziani seduti in piazza Roma, 2011.
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Uomo di campagna, legato alle vecchie tradizioni.
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Piazza San Pio da Pietrelcina.
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Piazza Roma, prima della ristrutturazione.
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Piazza Roma, prima della ristrutturazione.
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Bar, ristorante e pizzeria Su Nuraxi.
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Piazza dei caduti.
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Sa cruxi santa in via Libertà.
In ricordo dei missionari che arrivavano in paese negli anni 1925, 1960, 1966.
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Via Libertà.
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Via Libertà innevata.
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La chiesetta campestre dedicata a Nostra Signora di Bonaria prima della riedificazione.
La chiesa si trova in un piccolo colle alla periferia del paese, sulla strada per Cagliari.
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La chiesetta campestre dedicata a Nostra Signora di Bonaria dopo la riedificazione del 1963.
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Un mesoni (ovile) in località Terra de Antini.
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Un mesoni (ovile) in località Terra de Antini.
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Mielificio sulla strada per Cagliari.
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Sa cadira de s’aremigu.
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Parco comunale Giadrinu, così chiamato perché anticamente era un grande frutteto.
Si intravede la nicchia, costruita nel 1997, in onore di Sant’Isidoro.
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Parco comunale Giadrinu, così chiamato perché anticamente era un grande frutteto.
Si intravede la nicchia, costruita nel 1997, in onore di Sant’Isidoro.
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Parco comunale Giadrinu.
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Rimboschimento della zona di Su Cappucciu, sulla statale 387 verso Cagliari.
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Ingresso di una grotta nelle campagne intorno al paese.
Questa grotta era un rifugio durante i bombardamenti.
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Campagna intorno al paese.
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Campagna intorno al paese.
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Campagna intorno al paese.
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Campagna intorno al paese.
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Campagna in località Coxinas.
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Campagna in località Coxinas.
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Campagna in località Coxinas.
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Il rio Coxinas, a sud del paese.
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Cavalli al pascolo nell’altopiano di Pranu de Sànguni.
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Resti della casa del colonnello (sa domu de su coronellu) nell’altopiano di Pranu de Sànguni, primi Ottocento.
Si racconta che il colonnello Virdis di Sassari avesse ricevuto dal comune, come premio per aver fatto la guerra, dei terreni da coltivare. Lui piantò alberi da frutta, impiantò vigneti, ma ostacolò il pascolo al brado dei pastori di Sant’Andrea, San Nicolò e San Basilio. Alcuni dicono che morì in un agguato, altri che, riuscì a fuggire ferito nascosto in un carro pieno di fieno, ma morì poi di cancrena.
Oggi rimangono solo i resti della sua abitazione e il portone, che si trova in una casa del paese.
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Resti della casa del colonnello (sa domu de su coronellu) nell’altopiano di Pranu de Sànguni, primi Ottocento.
Si racconta che il colonnello Virdis di Sassari avesse ricevuto dal comune, come premio per aver fatto la guerra, dei terreni da coltivare. Lui piantò alberi da frutta, impiantò vigneti, ma ostacolò il pascolo al brado dei pastori di Sant’Andrea, San Nicolò e San Basilio. Alcuni dicono che morì in un agguato, altri che, riuscì a fuggire ferito nascosto in un carro pieno di fieno, ma morì poi di cancrena.
Oggi rimangono solo i resti della sua abitazione e il portone, che si trova in una casa del paese.
Foto di Bruno Atzori.600431
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Portone tipico di una casa sant’andriese, via Libertà.
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Portone tipico di una casa sant’andriese, via Libertà.
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Portone tipico di una casa sant’andriese.
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Portone del vecchio asilo.
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Ingresso di una casa con portale in legno, con grande arco lavorato e sagomato.
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Ingresso di una casa con portale in legno, con grande arco lavorato e sagomato.
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Portone, primi Ottocento.
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Portone tipico di una casa sant’andriese.
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Ingresso di una casa con arcata di fine Ottocento.
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Ingresso di una casa con arco lavorato e sagomato.
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Portone tipico di una casa sant’andriese.
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Portone tipico di una casa sant’andriese.
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Ingresso della bottega de su ferreri Luigi Mereu, via Verdi.
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Maschera utilizzata dai cavalieri durante la manifestazione. A sinistra è raffigurato un drago, in ricordo della leggenda che racconta di un drago ucciso da San Giorgio nell’altopiano di Pranu de Sànguni.
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Maschera utilizzata dai cavalieri durante la manifestazione. A sinistra è raffigurato un drago, in ricordo della leggenda che racconta di un drago ucciso da San Giorgio nell’altopiano di Pranu de Sànguni.
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Cavalieri di Sant’Andrea Frius si esibiscono nella pariglia chiamata su fusti.
Viene legato un bastone (su fusti) alla sella del cavallo per permettere a un cavaliere di salire sulle spalle degli altri due compagni che guidano i cavalli.
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Cavalieri di Sant’Andrea Frius si esibiscono nella pariglia chiamata il ponte.
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Cavalieri di Sant’Andrea Frius si esibiscono nella pariglia chiamata sa funi.
Viene legata una fune alla sella del cavallo per permettere a due cavalieri di tenersi in equilibrio.
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Cavalieri di Sant’Andrea Frius si esibiscono nella pariglia chiamata sa funi.
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Giovanissimo cavaliere al galoppo nella pariglia cuaddu solu.
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Cavalieri durante la manifestazione.
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Cavaliere in corsa con la spada per trafiggere il drago.
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Cavaliere in corsa con la spada per trafiggere il drago.
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Cavaliere in corsa con la spada per trafiggere il drago.
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Cavaliere in corsa con la spada per trafiggere il drago.
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Il drago che i cavalieri devono trafiggere con la spada.
Foto di Pinna Marcella.600600
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Daniele Deidda, primi Novecento.
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L’uomo con la sciabola è Claudio Cossu, alla sua sinistra Rita Dedoni, l’uomo con la cravatta è il segretario comunale, davanti a lui, seduta, sua moglie Angelina Cocco, primi Novecento.
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Anna Giuseppa Cappai, primi Novecento.
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Eugenio Melis, primi Novecento.
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La famiglia Callai, primi Novecento.
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Irene Pia, primi Novecento.
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Barbara Serra, primi Novecento.
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Aru Angelo, ritratto di matrimonio, primi Novecento.
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Foto di famiglia, primi Novecento.
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Fulgenzio Atzeni in abiti militari, 1912.
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Delia Atzeni fra le braccia della mamma Chiara Meloni, in posa per una foto ricordo da inviare al padre Fulgenzio Atzeni, richiamato al fronte, 1915.
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Fulgenzio Atzeni, 1915.
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Foto di gruppo, prima guerra mondiale.
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Delia Atzeni, 1917.
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Giovanni Aru, soldato nella prima guerra mondiale.
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Delia Atzeni con i genitori Chiara Meloni e Fulgenzio Atzeni, 1917-18.
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Francesco e Fulgenzio Atzeni, 1919.
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Bissenti Cocco, anni Venti.
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Teresa Mulargia, 1920.
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Giuseppe Fanunza con la moglie Vitalia Mulargia, 1920.
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Foto di famiglia, 1920.
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Antonio Meloni, 1920.
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Gruppo di amici, 1920.
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Foto di coppia, anni Venti.
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Foto di famiglia, 1920.
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La piccola Savina Casula in braccio alla mamma Peppeda Lallai, 1920.
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Sa prentzadura (la torchiatura), anni Venti.
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Giovanni Cappai, alle spalle si intravede Ciccitu Cocco, 1924.
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Foto di famiglia, 1924.
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Foto di tre bambine, 1924.
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Adele Paderi con le tre figlie, anni Venti.
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Foto di famiglia, 1926.
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Giuseppe Meloni, anni Venti.
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Marcello Cappai col fratello Francesco, anni Venti.
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Giuseppe Cappai e Rita Dedoni con i figli Francesco, Mario e Giovanni, anni Venti.
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Fiorenza Cocco, 1920.
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La classe di prima elementare nell’anno scolastico 1927-28.
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La classe di terza e quarta elementare nell’anno scolastico 1929-30.
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Gruppo di donne, 1929.
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Gruppo di amici, anni Trenta.
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Gruppo di amici, anni Trenta.
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Campo militare, anni Trenta.
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Maria Mulargia, anni Trenta.
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Virgilio Pinna con la divisa militare, anni Trenta.
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Agata Meloni, anni trenta.
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Giuseppe Atzeni, noto Peppino, militare maniscalco, anni Trenta.
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Giovanni Atzeni, anni Trenta.
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Da sinistra, Maria Mulargia, Gesuina Sulis, Tina Cossu e, seduta, Antonia Melis, anni Trenta.
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Il primo a sinistra è Virgilio Pinna, anni Trenta.
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Giuseppe Aru, anni Trenta.
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Foto di famiglia, anni Trenta.
In alto da sinistra, Giuseppe Aru e Antonio Meloni noto “Antonicu”, in basso si riconoscono, Assunta Meloni, Agatina Meloni, Ida Meloni con la mamma Luigia Aru, nota “Laurina”.
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Luigia Aru, nota “Laurina”, anni Trenta.
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Antonino Aru, 22 settembre 1932.
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Giuseppe Aru, 25 dicembre 1936.
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Antonino Aru, 19 febbraio 1937.
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Angelo Aru, anni Trenta.
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Zappatori dell’azione cattolica, 1937.
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Piccoli Balilla in un raduno del 1938.
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Paolina Marcia con il figlio Giuseppe Aru, anni Trenta.
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Mansueto Casula con il cognato Giuseppe Aru, anni Trenta.
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Il gruppo delle “circoline” dell’azione cattolica.
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Gruppo di amici; si riconoscono Antonio Mulargia e Teodato Fadda, anni Trenta.
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I coniugi Eugenio Melis e Teresa Mulargia con i loro figli, 1939.
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Gruppo di donne di Sant’Andrea Frius, 1939.
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Delia Atzeni nel giorno del suo matrimonio con Luigi Mascia, 20 novembre 1938.
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Antonino Atzeni, anni Trenta.
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Contadini al lavoro nei campi, 1937.
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Teresa Mulargia con alcune delle figlie, anni Trenta.
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Giuseppe Atzeni soldato in Abissinia negli anni 1937-38.
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Fotomontaggio, Giuseppe Aru e, in basso, il padre Angelo, anni Quaranta.
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Giuseppe Aru, 11 agosto 1940.
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Giuseppe Aru con un amico, 10 novembre 1941.
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Giuseppe Aru, 20 maggio 1940.
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Antonino Aru, 4 aprile 1940.
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Antonietta Melis, anni Quaranta.
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Delia Atzeni nel cortile di casa con il piccolo Antonio Mascia, 1940.
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Giovanni Atzeni in divisa militare, anni Quaranta.
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Ederina Callai e Giuseppina Mulargia, anni Quaranta.
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Maria Teresa Schirru, anni Quaranta.
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Rodolfo Pinna, bersagliere durante la seconda guerra mondiale.
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Rodolfo Pinna, bersagliere durante la seconda guerra mondiale.
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Virgilio Pinna, militare durante la seconda guerra mondiale.
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Clementina Putzu con le figlie Vitalia e Gina, 1942.
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Gruppo di militari durante la seconda guerra mondiale a Tripoli.
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Militari ritratti a Tripoli durante la seconda guerra mondiale.
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Gruppo di ragazze. Si riconosce, a sinistra, Savina Casula, anni quaranta.
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Mansueto Casula nel giardino con il cognato Giuseppe Aru e il fratello Ubaldo Casula, anni Quaranta.
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Un’auto greca trasporta feriti durante la seconda guerra mondiale, 28 ottobre 1940.
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Ricordo dei caduti nella seconda guerra mondiale, 05 luglio 1940.
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Salvatore Mameli con la divisa militare, anni Quaranta.
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Gruppo di militari durante la seconda guerra mondiale.
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Celebrazione di una messa al fronte, seconda guerra mondiale.
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Gruppo di militari; il primo a destra è Giuseppe Aru, 1940.
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Gruppo di militari; il primo a destra è Giuseppe Aru, 2 agosto 1940.
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Giuseppe Aru noto Peppino con la divisa militare, 1941.
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Giuseppe Aru durante la seconda guerra mondiale.
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Giuramento dell’aviere Giovanni Atzeni all’Aeronautica Militare, 1941.
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Giovanni Atzeni e Antonia Melis, primi anni Quaranta.
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Giovanni Atzeni durante la seconda guerra mondiale.
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Eligio Casula con la sorella Matilde, suora di carità dell’ordine di San Vincenzo, primi anni Quaranta.
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Eligio Casula, anni Quaranta.
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Antonio Atzeni, 19 agosto 1941.
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Palmira Espa e Giovanni Cannas, 1941.
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Soldati durante una esercitazione; si riconosce Giuseppe Aru.
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Gruppo di militari; si riconosce Giuseppe Aru.
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Gruppo di militari; l’uomo con l’elmetto è Giuseppe Aru.
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Giovanni Atzeni con la compagna Antonia Melis, anni Quaranta.
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Giuseppe Aru nel deposito di Gesico.
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Giuseppe Aru nel deposito di Gesico.
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Antonio Atzeni, anni Quaranta.
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Assunta Casula con i fratelli Mansueto e Savina, anni Quaranta.
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Antonia Melis, 26 maggio 1940.
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Gruppo di amici; si riconoscono Giovanni Atzeni, Ninnu Montisci e Raffaele Puddu, 1948.
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Giovanni Aru con gli amici in una battuta di caccia, anni Quaranta.
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Foto di famiglia; da sinistra Giuseppe Aru con il padre Angelo e il fratello Giovanni, in alto a sinistra, la madre Paolina Marcia, anni Quaranta.
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Alfredo Palmas con la divisa militare, anni Quaranta.
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Giovanni Secci, noto Giuannicu, con la moglie Antonia Serra, ritratti a Pranu de Sànguni, anni Quaranta.
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Giorgino Melis, Mansueto Casula e Francesco Cappai, anni Quaranta.
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Giovani soldati, anni Quaranta.
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Foto di gruppo, 1948.
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La famiglia Atzeni, 21 maggio 1950.
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Francesco Atzeni con le nipoti Maria Rita e Ferdinanda Atzeni, anni Cinquanta.
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Spettacolo del circo a Sant’Andrea Frius, anni Cinquanta.
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Gruppo di amici nella via Cagliari a Sant’Andrea, anni Cinquanta.
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Le spigolatrici, anni Cinquanta.
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Squadra di calcio, primi anni Cinquanta.
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Pietro Mura e Fulgenzio Atzeni, anni Cinquanta.
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Bambino col girello, 1951.
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Bambini dell’asilo, anni Cinquanta.
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Gruppo di anziani, anni Cinquanta.
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Antonio Atzeni, anni Cinquanta.
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Peppeda Lallai con la figlia Matilde Casula, suor Stefania, anni Cinquanta.
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Eligio e Ubaldo Casula con la mamma Peppeda Lallai, anni Cinquanta.
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Da sinistra Antonio Mascia, Fulgenzio Atzeni e Chiara Meloni, in piedi si riconoscono, Luigi Mascia e Delia Atzeni, 1954.
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Giovanni Atzeni col figlio Marcello, fine anni Cinquanta.
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Fulgenzio Atzeni, anni Cinquanta.
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La classe di terza elementare, 1959.
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Antonio e Fulgenzio Atzeni, anni Cinquanta.
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Anna Maria Aru e la sorella minore Maria Pina, fine anni Cinquanta.
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Matilde Casula con i nipoti Marcello, Anna Maria e Maria Pina Aru e Grazietta e Augusto Casula, anni Sessanta.
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Sergio Pinna, anni Sessanta.
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Sergio Pinna, anni Sessanta.
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Sergio Pinna, anni Sessanta.
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Squadra di calcio, anni Sessanta.
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Preparativi per un matrimonio, anni Sessanta.
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Operai intenti ad asfaltare la strada Sant’Andrea Frius-Senorbì, anni Sessanta.
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Foto di gruppo, 1960.
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Giovani in mesuidda (nel centro del paese), anni Sessanta.
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Foto ricordo della celebrazione della festa dei caduti, anni Sessanta.
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Savina Casula con le figlie Anna Maria e Maria Pina, anni Sessanta.
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Classe dell’asilo, anni Sessanta.
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Savina Casula con il marito Giuseppe Aru e figli Anna Maria, Angelo e Maria Pina, anni Sessanta.
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Marcello, Pierpaolo, Anna Maria e Maria Pina Aru, anni Sessanta.
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Giovanni Aru, anni Sessanta.
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Giuseppe Aru e Savina Casula con il figlio Angelo, anni Sessanta.
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Foto di gruppo, anni Sessanta.
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In mesuidda (nel centro del paese), anni Sessanta.
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Donne con is marigas in testa.
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Ragazze nello spiazzo dell’attuale Piazza Roma.
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Donne intente a fare il bucato.
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Donna intenta a fare il pane.
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Foto ritratto.
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Foto ricordo della leva militare.
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Foto ritratto di coppia.
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Foto di famiglia.
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Foto ritratto; la donna porta degli orecchini con pendenti.
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Foto ricordo della leva militare.
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Foto di famiglia.
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Foto ritratto.
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Giampaolo Cocco (classe 1825) indossa il costume tradizionale: berretta, fazzoletto annodato sotto il mento (forse indica un lutto), camicia bianca, corpetto con abbottonatura centrale, giacca, calzoni bianchi a gonnellino e ghette.
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Donna con bambino.
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Foto di famiglia.
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Il pranzo dopo la tosatura delle pecore.
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Foto di famiglia.
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Foto ritratto; la donna porta degli orecchini circolari.
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Foto di famiglia.
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Foto di famiglia.
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Foto di gruppo.
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Foto di gruppo; sullo sfondo si intravede l’antica chiesa di Sant’Andrea apostolo.
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Foto ricordo della leva militare; l’uomo indossa un anello.
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Foto ricordo di un bambino.
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Gruppo di anziani del paese.
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Foto di gruppo; si riconoscono il parroco don Mascia e padre Marcello.
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Foto ricordo della leva militare.
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Barbara Fanunza.
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Foto ricordo sul carro a buoi.
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Su gueteri Ubaldo Vacca, famoso in tutto il circondario per i bellissimi fuochi d’artificio che produceva. La sua bottega era in via Grazia Deledda.
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Composizione delle polveri utilizzate per realizzare i diversi effetti nei fuochi d’artificio.
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Composizione delle polveri utilizzate per realizzare i diversi effetti nei fuochi d’artificio.
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Composizione delle polveri utilizzate per realizzare i diversi effetti nei fuochi d’artificio.
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Composizione delle polveri utilizzate per realizzare i diversi effetti nei fuochi d’artificio.
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Composizione delle polveri utilizzate per realizzare i diversi effetti nei fuochi d’artificio.
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Composizione delle polveri utilizzate per realizzare i diversi effetti nei fuochi d’artificio.
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Autorizzazione comunale per l’accensione dei fuochi d’artificio in onore dei festeggiamenti della Madonna dell’Assunta.
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Campanaccio antico.
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Museruola per buoi (sa sportìzia) utilizzata per impedire che i buoi mangiassero mentre aravano.
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Sa musiera, un altro tipo più recente di museruola per buoi.
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Il giogo dei buoi (su giuali) utilizzato per tenere legati i buoi nei lavori sui campi.
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A sinistra, il ferro che veniva messo ai buoi; a destra, un oggetto utilizzato per pulire e raschiare il ferro dal fango dopo che il bue arava.
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Oggetto utilizzato nei cavalli e nei buoi.
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Su crabistu, veniva messo nel collo dei vitelli durante lo svezzamento.
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Oggetto utilizzato per catturare le volpi, per evitare che mangiassero il bestiame.
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Oggetto utilizzato per catturare le volpi, per evitare che mangiassero il bestiame.
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Le falci venivano utilizzate nei lavori contadini, per tagliare le spighe, l’erba; la più piccola per tagliare le canne del ruscello.
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La roncola (su cavunatzu) utilizzata per tagliare la legna.
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Sa sàsua utilizzata per prendere la farina dal sacco.
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Le forbici per tosare le pecore.
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Oggetti antichi utilizzati in campagna.
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Giovanni Atzeni, intervistato nel corso della ricerca.
Foto di Claudia Castellano.600400 - images/morfeoshow/oggetti_trad-2050/big/016 oggetti_saf.jpg
Caffettiera antica.
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Ferro da stiro antico.
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Cestini utilizzati dalle massaie.
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Su lacu, utilizzato un tempo per dar da mangiare agli animali.
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Sa moba, la macina in pietra utilizzata per macinare il grano con l’aiuto dell’asinello.
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La carrucola (sa tallora).
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Is francas, utilizzata per recuperare le cose cadute nel pozzo.
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Su barribi, veniva riempito di acqua o di vino e portato in campagna quando si andava a lavorare.
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Su carru, il carro dei buoi.
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Antichi mestieri
Le principali attività economiche di Sant’Andrea Frius erano la pastorizia e l’agricoltura e, fino agli anni Ottanta, erano attive anche due miniere che rappresentavano un’ulteriore risorsa per il paese.
Ogni famiglia faceva il possibile per essere indipendente e non dover comprare utensili, cibo e vestiario: per questo la maggior parte delle persone era in grado di realizzare molti lavori. Il contadino costruiva e riparava gli utensili destinati ai lavori agricoli quotidiani. Per gli utensili di maggior grandezza si rivolgeva al fabbro o al falegname. Le ragazze, fin dalla giovane età, apprendevano da mamme e nonne tutti i segreti delle arti domestiche: dovevano, infatti, essere in grado di cucire, filare, ricamare, cucinare, fare il pane, la pasta e i dolci. Il pane doveva essere sufficiente al fabbisogno di tutta la famiglia e anche a quello dei servitori. Non era un lavoro faticoso ma richiedeva tempo e bravura. Tutti in casa facevano i dolci, ma famosissima in paese per i buonissimi e bellissimi dolci sardi era Efisia Melis, tzia Efisiedda, mentre per i “monumentali” gattò c’era Amelia Cossu. Erano le più abili e venivano chiamate in occasione di matrimoni e altre diverse ricorrenze.
Oggi gli strumenti un tempo utilizzati nei lavori quotidiani hanno assunto una valenza artistica e culturale, svincolata dalle loro funzioni d’uso.
La bottega de su ferreri
I fabbri realizzavano molti oggetti utili per la vita quotidiana.
Un tempo, quando gli unici mezzi di trasporto erano cavalli, asini, muli e buoi, quello del fabbro era un lavoro molto diffuso. Gli animali, infatti, venivano portati da su ferreri due volte all’anno per evitare che si azzoppassero; ciascun ferro veniva fatto su misura. Il fabbro solitamente aveva un aiutante che teneva sollevata la zampa dell’animale, mentre lui appoggiava il ferro incandescente per prendergli l’impronta. Poi il fabbro batteva il ferro nell’incudine e lo fissava allo zoccolo dell’animale che veniva limato e riadattato alla ferratura.
Nel paese c’erano le botteghe di Luigi Mereu in via Verdi, Giuseppe Atzeni e Luigi Paderi in via Armando Diaz e Salvatore Mannai in via Cavour.
La bottega del falegname
La falegnameria del paese si trovava in via IV novembre (sa cora de pareta, piccolo sentiero) e apparteneva a Serafino Mura.
Su maistu de carru
Per la popolazione era essenziale avere il carro sia per lavorare che per gli spostamenti.
In paese su maistu de carru era l’artigiano Luisicu Anedda e si trovava in via Garibaldi. Realizzava a mano carri per buoi con esclusione di alcuni pezzi che venivano prodotti dal fabbro.
Su butaio
L’artigiano che produceva e aggiustava botti si chiamava Andrea Melis e la sua bottega era in via Alessandro Volta.
Su sabateri
Il calzolaio lavorava col cuoio e la colla. C’erano diverse botteghe in paese: quella di Guido Melis in via Piave, di Angelo Aru in via Michelangelo e di Boricu Aru in via Cavour. Oltre che aggiustare le scarpe usate, ne producevano di nuove e andavano poi a venderle col carro in tutta la Trexenta. Erano tempi di povertà e tutta la produzione veniva venduta per assicurare un discreto benessere alla famiglia. Anche i loro figli, infatti, iniziarono a indossare le scarpe solo in età adulta.
Su gueteri
L’artigiano si chiamava Ubaldo Vacca ed era famoso in tutto il circondario per i bellissimi fuochi d’artificio che produceva. La bottega era in via Grazia Deledda.
La mietitura
I mietitori – is scadaredis – lavoravano a giornata e tagliavano le spighe con la falce. La loro paga solitamente era commisurata al grano seminato. Le spighe erano poi raccolte dalle spigolatrici.
Le spigolatrici
Ogni mietitore aveva il diritto di scegliere la sua spigolatrice; lei gli doveva portare l’acqua da bere durante il lavoro e, per ringraziarlo di averla scelta, qualche prodotto dell’orto, dolci, uova o pane.
Anche il proprietario dei terreni da mietere mandava le sue serve alla stoppia (sa stoa).
Prima dell’arrivo del padrone e di tutte le serve nessuno poteva raccogliere le spighe (boddiri sa spiga) nel campo mietuto. Le sebidoras, le serve che lavoravano nella casa domestica, non potevano andare nei campi se non prima di aver sbrigato le faccende domestiche, e anche le altre spigolatrici dovevano aspettarle.
Una volta raccolte, le spighe venivano portate nelle case e messe in su stabi affinché il grano rimanesse asciutto. Su stabi doveva essere prima disinfettato.
La trebbiatura
Si ripuliva molto bene lo spazio scelto per stendere le spighe (sterri sa spiga). Le spighe dovevano essere disposte in circolo con la parte superiore (sa cabitza) verso l’interno, in modo che i chicchi di grano calpestati durante la trebbiatura rimanessero all’interno del cerchio formato dai gambi della spiga. Al centro del cerchio si conficcava nel terreno un palo di legno attorno al quale giravano gli animali (buoi, cavalli, asini) che provvedevano alla trebbiatura. Gli animali giravano intorno al palo almeno diciotto volte, ma spesso anche tutto il giorno, accompagnati dall’uomo.
Si seguiva questo procedimento anche per fave, piselli e ceci. Si facevano poi dei mucchi e si aspettava che il vento separasse la paglia dal raccolto.
Incungiai sa palla (prendere la paglia)
Una volta che il vento aveva separato il raccolto dalla paglia, si raccoglieva anche quella. La paglia veniva portata nelle case con i carri. Sul carro veniva disposta sopra sa cedra, una stuoia fatta con rametti di olivastro o di mirto. Il locale che accoglieva la paglia prendeva il nome di domu de palla.
Is serbidoris
Sia i bambini che le bambine venivano acodraus, ovvero mandati a lavorare presso le famiglie benestanti. Con le loro paghe contribuivano al sostentamento della famiglia. Se il salario era alto si riusciva a risparmiare per provvedere al corredo o, nel caso degli uomini, all’acquisto della casa. L’anno lavorativo iniziava il 7 settembre.
L’aratura
L’aratura veniva fatta col bestiame. L’aratura di febbraio-marzo si chiamava manixu, quella di maggio manixu de beranu, quella invernale manixu de atòngiu.
La semina
Con la semina si lanciavano le semenze, poi si arava.
Dopo l’aratura si facevano dei solchi profondi per lo scolo delle acque piovane dette coras.
Al centro del terreno si faceva un solco maggiore degli altri per le acque laterali in modo che non si allagasse il terreno. Prima di arare si toglievano le erbacce con la zappa; alcune erbacce, come il papavero, venivano tolte con le mani.
La vendemmia
Dopo la vendemmia, l’uva raccolta si portava in spalla sul carro dentro tini rotondi di legno di castagno detti staredus. Sopra il carro l’uva si sistemava dentro sa cubidina manna e sa cubidina pitica; arrivati a casa si metteva in un’altra cubidina piu grande e si pigiava con i piedi. Si lasciava fermentare una o due settimane, a volte anche di più, ma ogni giorno doveva essere comunque pigiata. Dopo si toglieva la vinaccia (sa benaza) che veniva pressata con sa prentza mentre il mosto veniva messo nelle botti. La vinaccia si metteva poi in sa cubina e si allungava con acqua del pozzo; si lasciava fermentare un paio di giorni e diventava su piriciolu, il vino dei poveri.
La vigna doveva essere curata tutto l’anno. Dopo la vendemmia veniva potata e i tralci delle viti venivano legati in alto. Successivamente la terra veniva scratzada, ossia zappata per formare dei canali lungo i filari per raccogliere l’acqua piovana. Quando le foglie delle viti crescevano si smamàt, si eliminavano cioè le foglie inutili e si curavano le altre con la cenere o lo zolfo. Quando passavano i buoi per arare, le foglie più grandi venivano legate per non rischiare che venissero stracciate e ai buoi veniva messa sa sportitzia, una sorta di museruola, affinché non mangiassero le viti.
Il lavoro degli animali
Il bestiame era molto utile all’uomo per compiere molti dei lavori quotidiani.
I buoi aravano dalla mattina alla sera, trasportavano legna, pietre ecc. I buoi avevano un campanaccio chiamato pitiolu furisteri che suonava quando l’animale mangiava; all’alba quando non si sentiva più il campanaccio significava che il bue aveva finito di mangiare e si poteva iniziare il lavoro nelle campagne.
Per irrigare l’orto ci si serviva dei mulini che prendevano l’acqua dal pozzo. Solitamente erano in legno ed erano azionati da un asinello a cui veniva messo in testa su facili, un sacco per evitargli capogiri.
C’era una ruota grande che girava con dei vasetti in terracotta, ben distanziati tra loro e legati a una catena, che scendevano, prendevano l’acqua del pozzo e risalivano colmi d’acqua. L’acqua veniva utilizzata direttamente per irrigare o raccolta in un vascone chiamato sa bràziga.
Per macinare il grano veniva usata la macina in pietra (sa mola) azionata anch’essa dall’asinello che girava la macina per tutto il giorno, ad eccezione degli intervalli per svuotare su lacu, un contenitore in pietra, dalla farina. Si faceva scorrere la farina da una fessura laterale e ciò che rimaneva - la crusca - veniva data alle galline. Sa mola si trovava solitamente in una stanza dentro la casa.
L’apicoltura
In passato l’apicoltura era diffusissima; ogni famiglia aveva un’arnia (su casidu) fatta di sughero, per la provvista familiare di miele e cera. Il miele veniva estratto una volta all’anno.
Il pollaio
Ogni famiglia aveva il pollaio. La gallina era, infatti, l’animale più economico e comune da allevare e non creava impedimenti alle altre attività. Le galline stavano in un terreno aperto chiamato axrola dove venivano buttati i rifiuti: le galline infatti servivano anche per ripulire perché mangiano tutto.
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