La vanità
- gioielli
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Delia Atzeni - gioielli
Testimonianza di Delia Atzeni
I gioielliLa madre della signora Delia possedeva una gancera de prata che utilizzava quando indossava il costume tradizionale e serviva per unire le due parti anteriori del corpetto femminile (su cossu), all’altezza del seno. Durante il fascismo però venne sequestrato tutto l’oro che possedevano. Alla signora Delia portarono via gli orecchini del battesimo che sostituì con un paio di poco valore. Per averne un altro paio d’oro dovette aspettare il matrimonio, quando le furono regalati da una zia materna. Li indossa ancora dal giorno delle nozze.
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Savina Casula - gioielli
Testimonianza di Savina Casula
I gioielliLa signora Savina racconta quanto fosse raro all’epoca possedere gioielli. Lei ebbe la fortuna di sposarsi con una propria fede nuziale ma, in quegli anni, i più erano costretti a farsela prestare da un parente stretto, poiché era una spesa troppo esosa da affrontare.
Durante il fascismo venne dato l’ordine di sequestrare tutto l’oro. La signora Savina racconta che alla madre venne sottratta la fede in cambio di un anello di poco valore.
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Anello d’oro a castone piatto con la lettera “R” in ricordo della Cresima, due piccole sfere alle estremità e decorazioni incise a bulino, primi Novecento.
Collezione privata.
Foto di Claudia Castellano.600400 - images/morfeoshow/vanit__-9541/big/002 vanita_saf.jpg
Anello d’oro lavorato, primi Novecento.
Collezione privata.
Foto di Andrea Saruis.600450 - images/morfeoshow/vanit__-9541/big/003 vanita_saf.jpg
Anello in argento con corallo rosso incastonato, XX secolo.
Collezione privata.
Foto di Claudia Castellano.600600 - images/morfeoshow/vanit__-9541/big/004 vanita_saf.jpg
Anello in argento con decorazioni e pietra incastonata, XX secolo.
Collezione privata.
Foto di Claudia Castellano.600600 - images/morfeoshow/vanit__-9541/big/005 vanita_saf.jpg
Anello in argento con pietra centrale in corallo (mancante), regalo di fidanzamento, anni Quaranta.
Collezione privata.
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Anello in oro a stampo con castone centrale in ceramica dipinta con smalti policromi, raffigurante la Madonna con il Bambino, XIX secolo.
Collezione privata.
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Fede nuziale in argento con decorazioni, XIX secolo.
Collezione privata.
Foto di Claudia Castellano.600400 - images/morfeoshow/vanit__-9541/big/008 vanita_saf.jpg
Anello da uomo, XIX secolo.
Collezione privata.
Foto di Claudia Castellano.600600 - images/morfeoshow/vanit__-9541/big/009 vanita_saf.jpg
Bottone in lamina e filigrana d’argento, con granulazione e castone in pasta vitrea rossa, XIX secolo.
Collezione privata.
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Bottone in lamina e filigrana d’argento, con granulazione e castone in pasta vitrea rossa, XIX secolo.
Collezione privata.
Foto di Claudia Castellano.600600 - images/morfeoshow/vanit__-9541/big/011 vanita_saf.jpg
Bottone in lamina e filigrana d'oro; si portava appuntato sul collo della camicia, XIX secolo.
Collezione privata.
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Bottone in filigrana d’oro; si utilizzava nel corpetto maschile, primi Novecento.
Collezione privata.
Foto di Andrea Saruis.600450 - images/morfeoshow/vanit__-9541/big/013 vanita_saf.jpg
Cerchio utilizzato per fermare le cocche del fazzoletto.
Collezione privata.
Foto di Claudia Castellano.600600 - images/morfeoshow/vanit__-9541/big/014 vanita_saf.jpg
Gemelli per la divisa militare.
Collezione privata.
Foto di Claudia Castellano.600464 - images/morfeoshow/vanit__-9541/big/015 vanita_saf.jpg
Gemelli in argento utilizzati per chiudere i polsi della camicia maschile, fine Ottocento.
Collezione privata.
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Gemelli in argento utilizzati per chiudere i polsi della camicia maschile, fine Ottocento.
Collezione privata.
Foto di Claudia Castellano.600600 - images/morfeoshow/vanit__-9541/big/017 vanita_saf.jpg
Ciondoli in argento, anni Quaranta.
Collezione privata.
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Cammeo con volto di donna inciso su conchiglia e sfondo in pietra d’onice nera, XIX secolo.
Veniva indossato dalla padrona di casa come simbolo del suo potere sulla casa.
Collezione privata.
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Catena d’oro a maglia fine, cammeo, incastonato in oro, con volto di donna inciso su conchiglia e medaglia d’oro raffigurante Sant’Antonio, XX secolo.
Collezione privata.
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Catena d’oro a maglia fine, cammeo, incastonato in oro, con volto di donna inciso su conchiglia e medaglia d’oro raffigurante Sant’Antonio, XX secolo.
Collezione privata.
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Collana e ciondolo d’oro con l’effige della Madonna, anni Quaranta.
Collezione privata.
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Particolare del ciondolo d’oro con l’effige della Madonna, anni Quaranta.
Collezione privata.
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Medaglia d’oro in ricordo della prima fiiare del Banco di Sardegna a Sant’Andrea Frius, 1958.
Collezione privata.
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Medaglie al valor militare.
Collezione privata.
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Medaglie al valor militare.
Collezione privata.
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Cintura in argento (gancera) a due segmenti con tre catenelle intervallate da piastrine ovali a forma di fiore e terminali a cuore, XIX secolo.
Collezione privata.
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Orologio da catena in argento con quadrante in smalto bianco, XX secolo.
Collezione privata.
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Orologio da catena in argento con quadrante in smalto bianco, XX secolo.
Collezione privata.
Foto di Claudia Castellano.600600 - images/morfeoshow/vanit__-9541/big/029 vanita_saf.jpg
Orologio da catena in argento con quadrante in smalto bianco, metà Novecento.
Collezione privata.
Foto di Marcella Pinna.450600 - images/morfeoshow/vanit__-9541/big/030 vanita_saf.jpg
Orecchini in lamina e filigrana d’oro con granulazione, XIX secolo.
Collezione privata.
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Orecchini in lamina d’oro con pietre vitree incastonate, XIX secolo.
Collezione privata.
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Orecchini in oro.
Collezione privata.
Foto di Marcella Pinna.600600 - images/morfeoshow/vanit__-9541/big/033 vanita_saf.jpg
Spilla in oro utilizzata per fermare i bavaglini dei neonati, fine Ottocento.
Collezione privata.
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Spilla in oro utilizzata per ornare la camicia del costume tradizionale, XIX secolo.
Collezione privata.
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Spilla in oro utilizzata per ornare la camicia del costume tradizionale, XIX secolo.
Collezione privata.
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Spilla in argento con pietre decorate, XIX secolo.
Collezione privata.
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Spilla in argento con pietre vitree, XX secolo.
Collezione privata.
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Spilla in oro con rubino incastonato, XIX secolo.
Collezione privata.
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Spilla in piastra d’oro incisa con sovrapposta canna attorcigliata e piastrine incise con perline.
Collezione privata.
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Spilla in piastra d’oro incisa con sovrapposta canna attorcigliata e piastrine incise con perline.
Collezione privata.
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Gioielli di origine africana importati, probabilmente, durante la seconda guerra mondiale.
Collezione privata.
Foto di Claudia Castellano.600400
La magia
- gioielli
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Delia Atzeni - magia
Testimonianza di Delia Atzeni
La magiaUn amuleto molto diffuso tra le donne era un cornetto che tenevano quando allattavano, nascosto nelle vesti, per proteggersi dalla pilu de tita (la mastite). La signora Delia non ne possedeva uno ma c’era l’usanza di prestarselo tra le donne del paese. Questo cornetto doveva essere tagliato il venerdì a un capretto con le mani dietro la schiena e poi veniva abrebau da una persona “esperta”.
Uno scritu molto diffuso era su scritu de sa stria che si utilizzava quando qualcuno era stato “preso d’occhio” dal barbagianni (sa stria). A Sant’Andrea lo possedevano in pochi e chi l’aveva lo prestava. Quando si prestava, affinché non si rompesse la magia, doveva essere lanciato senza parlare, così anche nel momento in cui veniva restituito. Su scritu consisteva in un pezzo di stoffa che conteneva al suo interno delle preghiere scritte (brebus) e un pezzo essiccato del cuore del barbagianni. Su scritu de sa stria non era efficace se non veniva tenuto almeno per nove lune. -
Delia Atzeni - magia, seconda parte
Testimonianza di Delia Atzeni
La magia, seconda parteUn amuleto molto diffuso tra le donne era un cornetto che tenevano quando allattavano, nascosto nelle vesti, per proteggersi dalla pilu de tita (la mastite). La signora Delia non ne possedeva uno ma c’era l’usanza di prestarselo tra le donne del paese. Questo cornetto doveva essere tagliato, il venerdì, a un capretto con le mani dietro la schiena e poi veniva abrebau, sempre di venerdì, da una persona “esperta”.
Signora Delia ci parla della tradizione dei fuochi di San Giovanni Battista.
I giovani si occupavano di raccogliere su scomu (ramoscelli di mirto, corbezzolo, petali di fiori e menta selvatica), le erbe aromatiche con cui si arromànt la strada in cui passava la processione per la festa di San Giovanni. Alla fine della processione si raccoglieva su scomu e si lasciava seccare in casa per essere utilizzato nei fuochi la notte di San Giovanni. Ognuno nel proprio vicinato preparava i fuochi e tutti, compresi i bambini, dovevano saltarli altrimenti poteva venir loro s’arrungia (la rogna).
I fuochi venivano saltati anche tra amiche per diventare comari, recitando insieme la formula:
“San Giovanni, San Giovanni - la notte di San Giovanni, la notte di San Pietro - San Giovanni, San Giovanni - la notte di San Giovanni, la notte di San Pietro - siamo veramente comari”.
E scambiandosi un fiore recitavano:
“San Giovanni, San Giovanni - la vita di San Giovanni - la vita di San Pietro - siamo davvero comari”.
E da allora diventavano comari per tutta la vita.
La notte di capodanno, invece, le giovani fanciulle (bagadieddas) prendevano ramoscelli di mirto (mutta) pieni di bacche e allo scattare della mezzanotte li passavano tra le fiamme. Le bacche si staccavano e cadevano. Chi riusciva ad afferrarle mentre cadevano giù si sarebbe fidanzata, se nubile, o sposata, se promessa sposa, entro l’anno. -
Giovanni Atzeni - magia
Testimonianza di Giovanni Atzeni
La magiaIl signor Giovanni racconta di aver visto in casa della vicina un malifatu, trovato nel pozzo dell’abitazione, costituito da due arance conficcate di aghi.
Per quanto riguarda i fuochi di San Giovanni, ricorda che durante la processione del Corpus Domini vi era l’usanza di raccogliere s’arramadura (fogliame e petali di fiori) per utilizzarla poi per fare i fuochi. I falò venivano accesi in ogni vicinato ed era consuetudine saltarli come forma di protezione contro s’arrungia (la rogna). Questa pratica era molto divertente ma allo stesso tempo molto pericolosa.
Come segni protettivi contro le streghe (bruxas o cogas) si metteva un treppiedi (su trèbini) capovolto dentro il caminetto, oppure le scope capovolte dietro la porta.
Anche le medicine artigianali, le uniche accessibili al tempo, avevano la loro importanza. Erano realizzate con erbe e ingredienti naturali e garantivano una buona guarigione. -
Savina Casula - magia
Testimonianza di Savina Casula
La magiaLa signora Savina racconta che il marito, Peppino Aru, aveva uno scritu regalatogli dalla madre che tenne con sé per tutto il periodo del servizio militare e della guerra in Grecia e Albania.
Per quanto riguarda i riti magici, la signora Savina ricorda solo sa mexina de s’ogu pigau a cui ricorreva spesso quando i figli stavano male.
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Ciprea ovale, montata in argento, con due sonagli, una sabegia (l’amuleto sfaccettato in pasta vitrea nera) e su tratallu, XIX secolo.
La conchiglia era un amuleto molto diffuso. Proteggeva i bambini dal malocchio ed era un oggetto con cui i neonati giocavano continuamente.
Collezione privata.
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Conchiglia utilizzata dalle donne contro il malocchio, fine Ottocento.
Collezione privata.
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Conchiglia contenente incenso e utilizzata con i brebus, XIX secolo.
Collezione privata.
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Amuleto di origine africana importato, probabilmente, durante la seconda guerra mondiale.
Collezione privata.
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Medaglia utilizzata contro il malocchio, primi Novecento.
Le medaglie si portavano, solitamente, appuntate sotto le vesti.
Collezione privata.
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Medaglie antiche con immagini sacre, fine Ottocento.
Collezione privata.
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Medaglia antica con immagine sacra, fine Ottocento.
Collezione privata.
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Medaglie antiche con immagini sacre, fine Ottocento.
Collezione privata.
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Catena in argento e medaglione con l’effige di Santa Rita, XIX secolo.
Collezione privata.
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Reliquiario in argento, XIX secolo.
Si portava legato con uno spago sotto le vesti.
Collezione privata.
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Scapolare in panno di lana verde con l’effige della Madonna del Carmelo, primi Novecento.
Si portava, in segno di devozione, allacciato al collo con un nastrino verde e nascosto sotto le vesti.
Collezione privata.
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Scritu de sa stria.
Si utilizzava quando qualcuno era stato “preso d’occhio” dal barbagianni (sa stria). Conteneva al suo interno delle preghiere scritte (brebus) e un pezzo essiccato del cuore del barbagianni.
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Scritu in pelle realizzato per la nascita di una bambina, metà Novecento.
Conteneva al suo interno delle preghiere e un pezzetto del cordone ombelicale.
Foto di Pinna Marcella.600427
La devozione
- oggetti di devozione
- cerimonie
- celebrazioni
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Delia Atzeni - nascita
Testimonianza di Delia Atzeni
La nascita del bambinoAl momento della nascita del bambino maschio veniva fatto uno scritu molto importante. Conteneva, racchiusi in un pezzetto di stoffa, delle preghiere e un pezzetto del cordone ombelicale. Le madri lo consegnavano poi come porta fortuna ai figli quando partivano militari o in guerra. Ora non lo fanno più.
Il battesimo avveniva entro otto giorno dalla nascita. La madre doveva rimanere in casa per quaranta giorni, pertanto si recava in chiesa solo il padre. Durante la recita del Credo il padre però doveva allontanarsi perché, secondo la leggenda, se avesse sentito il Credo vi era il rischio che il bambino diventasse sordo. Al completamento dei quaranta giorni la mamma s’incresiat, ovvero veniva accompagnata in chiesa dalla levatrice e otteneva la “purificazione”.
Tra le altre leggende del paese la signora Delia ricorda anche quella secondo cui una donna incinta non doveva saltare una fune poiché, altrimenti, si sarebbe attorcigliato il cordone ombelicale intorno al collo del feto. -
Delia Atzeni - fidanzamento
Testimonianza di Delia Atzeni
Il fidanzamentoLa signora Delia ci racconta del suo fidanzamento.
In passato si richiedeva il permesso di corteggiamento per corrispondenza. Il ragazzo, infatti, era solito chiedere la mano della prescelta tramite lettera e la ragazza, se non gradiva la richiesta, doveva rimandare indietro la lettera. La signora Delia ricevette tre lettere dal futuro marito senza dare risposta. Interrogata in proposito dal suo pretendente, rispose che non poteva dire né sì né no. Ma dopo qualche tempo informò la sua famiglia di questo reciproco interesse; questo consentiva loro di continuare la corrispondenza quando lui sarebbe partito militare. Prima di prendere servizio militare, il futuro marito si doveva recare in caserma per ritirare un documento. Nella caserma dei carabinieri del paese lavorava anche la signora Delia alle dipendenze di un brigadiere di Ittiri; ne approfittò quindi per salutarla dedicandole una romantica serenata. Dopo qualche mese che era partito, scrisse ai futuri suoceri per chiedere il loro consenso al fidanzamento nel periodo di congedo che avrebbe preso per Capodanno. Così, il giorno di Capodanno, si recò a casa della signora Delia accompagnato dal padre e dai fratelli. Accolti in casa, chiesero della ragazza e la signora Delia si presentò visibilmente emozionata. Il promesso sposo, prendendole la mano, le diede il primo bacio sulla fronte, dopo aver chiesto autorizzazione al padre. Il loro fidanzamento durò tre anni. -
Delia Atzeni - matrimonio
Testimonianza di Delia Atzeni
Il matrimonioIl giorno delle nozze era consuetudine che lo sposo, accompagnato dalla propria famiglia, andasse a prendere la sposa a casa. Inizialmente aspettava fuori, preceduto da un fratello o da uno zio. Poi entrava anche lui in casa e, rivolgendosi ai suoceri, chiedeva conferma di poter sposare la loro figlia. Il capofamiglia, acconsentendo, faceva ai giovani una serie di raccomandazioni. Si avviavano poi tutti in chiesa in corteo con a capo la sposa accompagnata da un fratello, uno zio o comunque un parente stretto, ma mai dai genitori. Terminata la cerimonia andavano tutti insieme a casa degli sposi; lungo il tragitto gli sposi venivano benedetti con s’aratzia preparata e gettata al loro passaggio. Nella nuova dimora la madre dello sposo dava loro un’ulteriore benedizione con s’aratzia e consegnava le chiavi di casa. Agli invitati veniva offerto un piccolo rinfresco con dolci tradizionali e qualche liquore.
Per quanto riguarda il pranzo, gli invitati della sposa andavano a casa dei suoi genitori, mentre gli invitati dello sposo pranzavano nella casa dei neosposini. Gli invitati della sposa erano accompagnati da tutti i commensali, compresa la madre dello sposo, che portava in dono alla consuocera su presenti ovvero un cesto coperto da un panno bianco con pane, frutta, un pezzo di carne e su gatou che non poteva mancare mai. La consuocera, svuotato il cesto, lo riempiva di ciò che possedeva in casa. -
Giovanni Atzeni - fidan-zamento e matrimonio
Testimonianza di Giovanni Atzeni
Il fidanzamento e il matrimonioIl signor Giovanni ci racconta del suo fidanzamento. All’inizio i genitori della moglie li ostacolarono in quanto troppo giovani, ma loro si frequentavano di nascosto per scambiarsi qualche parola e qualche effusione. Col tempo i suoceri si convinsero del loro amore e acconsentirono al fidanzamento. Si sposarono così nel 1946 e restarono insieme per quarantanove anni.
Tra le usanze del matrimonio ricorda s’aràtzia, realizzata con soldi, grano e ortaggi di colore verde e posti in un piatto che veniva gettato per terra al passaggio degli sposi come portafortuna. -
Savina Casula - nascita e battesimo
Testimonianza di Savina Casula
La nascita e il battesimoIn passato durante la gravidanza e il parto non si ricorreva all’assistenza di ginecologi e ostetriche, ma solo all’ausilio della levatrice. Il parto solitamente avveniva in casa, nel letto coniugale. Il bambino poi veniva avvolto con delle fasce di panno dai piedi fino al petto, lasciando libere solo le manine.
Il battesimo avveniva entro otto giorno dalla nascita. La madre doveva rimanere in casa per quaranta giorni, pertanto si recava in chiesa solo il padre. Durante la cerimonia il padre però rimaneva lontano e si avvicinava solo dopo il rito del battesimo. Al completamento dei quaranta giorni la mamma s’incresiat, ovvero veniva accompagnata in chiesa dalla levatrice e durante la messa, davanti alla Madonna, pregando insieme al sacerdote, riceveva la benedizione. -
Savina Casula - fidan-zamento e matrimonio
Testimonianza di Savina Casula
Il fidanzamento e il matrimonioLa signora Savina racconta del suo fidanzamento, assai differente da quello odierno.
Il corteggiamento era più formale e riservato ed erano poche le occasioni di incontro dei fidanzati. Inizialmente i genitori della signora Savina non approvarono la relazione con il futuro marito, ma poi acconsentirono al fidanzamento e loro si sposarono dopo alcuni anni. Il giorno delle nozze lo sposo andò a prenderla a casa e in processione, prima lei con tutti i suoi parenti, poi lo sposo con i propri parenti, si recarono in chiesa per la cerimonia.
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Crocifisso in argento, alla base troviamo un teschio.
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Crocifisso, fine Ottocento.
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Rosario, fine Ottocento.
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Rosario con grani in madreperla e legature in argento, XIX secolo.
Collezione privata.
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Arazzo con l’effige di Gesù Cristo, fine Ottocento.
Foto di Marcella Pinna.600438 - images/morfeoshow/oggetti_di_d-2893/big/006 devozione_saf.jpg
Quadro con l’effige di Gesù Cristo, fine Ottocento.
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Quadro con l’effige della Sacra Famiglia, anni Trenta.
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Quadro con la Madonna, anni Quaranta.
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Quadro con l’effige di Santa Rita, anni Trenta.
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Quadro con l’effige di Santa Rita, anni Quaranta.
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Quadro con l’effige della Madonna col bambino, anni Cinquanta.
Foto di Marcella Pinna.450600
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Matrimonio di Salvatore Piras e Virginia Melis, 1912.
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Matrimonio di Palmiro Atzeni e Mariuccia Callai.
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Gruppo della Prima Comunione, anni Trenta.
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Matrimonio di Luigi Mascia e Delia Atzeni, 20 novembre 1938.
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Don Secci, noto “predi Secci”, ha operato nel paese dal 1916 al 1942.
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La preesistente chiesa di Sant’Andrea prima della demolizione, anni Quaranta.
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Arrivo del vescovo da Senorbì per la celebrazione delle Cresime. La popolazione attendeva all’ingresso del paese e si procedeva verso la chiesa in processione, anni 1954-55.
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Matrimonio, anni Cinquanta.
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Prima Comunione di Paola Aru; sullo sfondo la nonna Paolina Marcia, anni Cinquanta.
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Prima Comunione, anni Sessanta.
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Prima Comunione, anni Sessanta.
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Festa della Madonna di Lourdes con le bambine della Prima Comunione, anni Sessanta.
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Festa della Madonna di Lourdes con le bambine della Prima Comunione, anni Sessanta.
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Matrimonio di Giuseppe Cappai e Peppina Atzeni, anni Sessanta.
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Matrimonio di Mario Mura e Ida Meloni, 20 novembre 1960.
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Matrimonio di Luigi Pintus e Bonaria Mameli.
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Giorno del battesimo.
Il battesimo avveniva entro otto giorno dalla nascita. Molto probabilmente la signora nella foto non è la mamma del bambino, perché era tradizione che la donna, dopo il parto, rimanesse in casa per quaranta giorni dopo i quali s’incresiat, si recava cioè in chiesa per la “purificazione”.
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Giorno del battesimo.
Il battesimo avveniva entro otto giorno dalla nascita. Molto probabilmente la signora nella foto non è la mamma del bambino, perché era tradizione che la donna, dopo il parto, rimanesse in casa per quaranta giorni dopo i quali s’incresiat, si recava cioè in chiesa per la “purificazione”.
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Giorno del battesimo.
Il battesimo avveniva entro otto giorno dalla nascita. Molto probabilmente la signora nella foto non è la mamma del bambino, perché era tradizione che la donna, dopo il parto, rimanesse in casa per quaranta giorni dopo i quali s’incresiat, si recava cioè in chiesa per la “purificazione”.
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Processione, anni Sessanta.
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Processione, anni Sessanta.
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Processione, anni Sessanta.
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Gruppo di chierichetti, anni Sessanta.
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Processione, anni Sessanta.
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Processione, anni Sessanta.
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Rientro in chiesa della processione, anni Sessanta.
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Processione.
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Matrimonio; il corteo degli sposi attraversa piazza Roma, chiamata anche pratza Funtanedda.
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Prima Comunione, anni Sessanta.
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Gruppo di chierichetti, anni Sessanta.
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Prima Comunione, anni Sessanta.
Archivio fotografico privato.600406 - images/morfeoshow/cerimonie-8844/big/032 cerimonie_saf.jpg
In ricordo (probabilmente) della Prima Comunione.
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Festa di Sant’Isidoro, anni Settanta.
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Processione di Sant’Isidoro, anni Ottanta.
Foto di Marcella Pinna.400600 - images/morfeoshow/celebrazioni-4944/big/003 celebrazioni_saf.jpg
Processione per la festa di maggio di Sant’Andrea e Sant’Isidoro, primi anni Novanta.
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Processione per la festa di maggio di Sant’Andrea e Sant’Isidoro, primi anni Novanta.
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Processione per la festa di maggio di Sant’Andrea e Sant’Isidoro, primi anni Novanta.
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Processione per la festa di maggio di Sant’Andrea e Sant’Isidoro, primi anni Novanta.
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Processione di Sant’Isidoro, anni Novanta.
Foto di Marcella Pinna.600343 - images/morfeoshow/celebrazioni-4944/big/008 celebrazioni_saf.jpg
Processione di Sant’Isidoro, anni Novanta.
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Cavalieri di San Giorgio, anni Novanta.
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Cavalieri di San Giorgio.
Processione per la festa di maggio di Sant’Andrea e Sant’Isidoro.
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La statua di Sant’Isidoro viene posta sul trattore per dare inizio alla processione che, partendo dalla chiesa di Sant’Andrea apostolo, sfilerà con tutti i fedeli per le principali vie del paese, accompagnata dalle tracas, dai trattori con gli addobbi floreali, dai suonatori di launeddas e dall’Associazione ippica “Cavalieri di San Giorgio”.
Foto di Bruno Atzori.600492 - images/morfeoshow/celebrazioni-4944/big/012 celebrazioni_saf.jpg
Traca organizzata e addobbata dai giovani del paese.
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Traca organizzata e addobbata dai giovani del paese.
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Traca che sfila nelle vie del paese.
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Tracas con ornamenti floreali e caius (cestini).
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Donne in processione.
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Processione dei fedeli.
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Cavalieri di San Giorgio.
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Cavalieri di San Giorgio.
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Giovanissimi Cavalieri di San Giorgio.
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Cavalieri di San Giorgio.
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Sant’Isidoro sfila nelle vie del paese.
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Trattore con addobbi in onore di Sant’Isidoro, 2011.
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Fedeli in costume sardo.
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Trattore con addobbi floreali.
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Trattore con addobbi floreali.
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Trattore addobbato, 2011.
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Trattore addobbato e traca sfilano nelle vie del paese, 2011.
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Trattore addobbato e traca sfilano nelle vie del paese, 2011.
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Aratro addobbato.
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Trattore con addobbi floreali.
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Giovani in costume sardo sfilano sulla traca.
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Coppia in costume sardo sfila a cavallo.
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Sant’Isidoro al ritorno dalla processione.
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Sant’Isidoro al ritorno dalla processione.
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Festeggiamenti civili in piazza.
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Festeggiamenti civili in piazza.
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Fuochi d’artificio in onore di Sant’Andrea apostolo.
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Fuochi d’artificio in onore di Sant’Andrea apostolo.
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Fuochi d’artificio in onore di Sant’Andrea apostolo.
Foto di Marcella Pinna.600450
I gioielli
A Sant’Andrea Frius possedere gioielli era un vero e proprio privilegio. Si trasmettevano di generazione in generazione come oggetti sacri e preziosi. In occasione delle nozze, alla ragazza veniva prestato, da una mamma, una zia o comunque da un parente stretto, un anello o una vera e propria fede nuziale che doveva restituire subito dopo la cerimonia. Il ragazzo non era così “fortunato” e solo chi poteva permetterselo si sposava con l’anello.
Quando (raramente) la donna indossava il costume sardo, portava in testa su mucadori tenuto da una spilla d’oro molto piccola e semplice, oppure lavorata con delle pietrine. Nel petto metteva una spilla più grande e, solitamente, più lavorata. Portava orecchini e una grossa e lunga collana chiamata su cadenatzu che faceva diversi giri intorno al collo. Sa gancera chiudeva le due parti anteriori del corpetto femminile, all’altezza del seno oppure in vita. Alle dita portavano anelli d’oro o di materiali più poveri.
Il gioiello più importante e diffuso era il bottone. Nel costume sardo, maschile e femminile, non mancavano mai. Essi rappresentavano la classe sociale. Infatti dai bottoni che l’uomo portava, la donna poteva capire se era un buon partito; i bottoni erano d’oro, d’argento o cuciti con ago e filo, quest’ultimi indicavano una grande miseria. I gemelli chiudevano il collo e, a volte, i polsi della camicia. Dalla ricerca è emerso che una donna benestante aveva all’incirca dodici bottoni per manica, la cosiddetta bottoniera.
Certi gioielli venivano regalati in particolari ricorrenze: l’anello con la “R” ad esempio, che significa ricordo, veniva regalato in occasione della prima comunione o della cresima; gli orecchini solitamente venivano regalati alla nascita e indossati per il battesimo.
Il gioiello non aveva solo una funzione ornamentale, ma veniva indossato e utilizzato anche per preservarsi dalle malignità, curare malattie, scongiurare il malocchio e proteggersi dai malifatus (bambole di pezza con gli aghi conficcati).
La popolazione di Sant’Andrea Frius solitamente portava is scritus o amuleti di vario tipo.
L’uomo, ad esempio, non si separava mai dalla pedra de s’ogu, comunemente chiamata “occhio di Santa Lucia” e utilizzata nei riti contro il malocchio. La pietra dell’occhio veniva gettata in un secchio d’acqua e dal numero di bollicine che formava si capiva quanti sguardi malefici si erano ricevuti durante la giornata.
L’amuleto “occhio di Santa Lucia” veniva anche portato, incastonato in argento, per preservare la vista.
Molto diffusi erano is scritus.
Il più diffuso era su scritu de sa stria che si utilizzava quando qualcuno era stato “preso d’occhio” dal barbagianni (sa stria). A Sant'Andrea lo possedevano in pochi e chi l’aveva lo prestava. Quando si prestava, affinché non si rompesse la magia, doveva essere lanciato senza parlare, così anche nel momento in cui veniva restituito. Su scritu consisteva in un pezzo di stoffa che conteneva al suo interno delle preghiere scritte (brebus) e un pezzo essiccato del cuore del barbagianni.
Un’altro scritu molto importante e diffuso nel paese era quello fatto nel momento della nascita del bambino maschio. Conteneva al suo interno delle preghiere e un pezzetto del cordone ombelicale. Le madri lo consegnavano poi come porta fortuna ai figli quando partivano militari o in guerra. Oggi in paese non se ne trovano più perché venivano rubati o, come dicono alcune testimonianze, sparivano inspiegabilmente.
Su scritu de su Cramu veniva invece realizzato quando ci si consacrava alla Madonna del Carmelo e aveva l’intento di preservare le persone da una morte dolorosa. Si trattava di un pezzo di stoffa che conteneva una preghiera e aveva, all’esterno, un’immaginetta della Madonna del Carmelo.
La donna portava sempre uno scapolare in panno di lana con l’effige della Madonna del Carmelo. Molto diffuso tra le donne era anche un cornetto che tenevano quando allattavano, nascosto nelle vesti, per proteggersi dalla pilu de tita (la mastite).
Anche la conchiglia era un amuleto molto diffuso. Proteggeva i bambini dal malocchio ed era un oggetto con cui i neonati giocavano continuamente. La ciprea documentata nella ricerca è di forma ovale, montata in argento, con due sonagli, una sabègia (l’amuleto sfaccettato in pasta vitrea nera) e su tratallu.
I gioielli documentati a Sant’Andrea sono pochi in quanto, nel periodo del fascismo, sono stati sequestrati, insieme a tanti oggetti d’oro, per la patria. Sono stati rivenuti gioielli e un amuleto di origine africana che molto probabilmente sono stati importati durante la seconda guerra mondiale.
La ricerca è stata resa possibile grazie alla collaborazione della popolazione attraverso testimonianze, fotografie e racconti che hanno confermato lo scarso utilizzo dei gioielli ornamentali in epoca passata e, al contrario, hanno confermato la diffusione dell’amuleto e di pratiche magiche nella vita quotidiana.
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