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Bonaria Mulliri - matrimonio
Testimonianza di tzia Bonaria Mulliri
Bonaria Mulliri 103 anni, nata a Mandas il primo ottobre del 1907.
Il matrimonioCi racconta com’era il matrimonio anticamente?
Tra le varie tradizioni c’era quella di cercare i parenti, quelli che avevano una stretta relazione con i futuri sposi, ed era un’usanza da rendere pratu torrau.
Tutti facevano un regalo, oggetti per la casa e per la famiglia.
Il giorno del matrimonio erano tutti invitati alla cerimonia in chiesa, ma non tutti al ricevimento.
La famiglia dello sposo doveva procurare la casa; quella della sposa tutte le cose da portare nella nuova abitazione, il corredo e tutti gli attrezzi utili per le varie faccende domestiche: strexu de fenu, ciulliris e pallinis in quantità, ad esempio, quelli per la lavorazione del pane e la farina; la novella sposa doveva saper usare tutti gli utensili e saper fare i lavori domestici. Inoltre, si occupava di tutta la biancheria e dei mobili, che venivano regalati dal padre della sposa.
Si preparava sa sprexa e si buttava appena la sposa usciva fuori dalla chiesa e lungo tutto il cammino fatto dagli sposi sino alla nuova casa, a me ne fecero ventidue.Com’era preparata sa sprexa?
Era di buon auspicio e il piatto in cui era riposta conteneva: carta di seta tagliata molto fine e di tutti i colori, una manciata di grano e una di sale, sempre per buon augurio ai novelli sposi.Com’erano l’abito della sposa e i gioielli indossati?
La sposa indossava una collana, una spilla e gli orecchini, abiti seri e semplici di colore bianco o rosa pallido e un fazzoletto di seta per la testa.E lo sposo?
Lo sposo indossava abiti eleganti, cravatta e, rigorosamente, il cappello; chi voleva e poteva, metteva accessori vari.
Sempre per buon augurio, i parenti mettevano dei soldi all’interno delle scarpe degli sposi. -
Bonaria Mulliri - feste
Testimonianza di tzia Bonaria Mulliri
Bonaria Mulliri 103 anni, nata a Mandas il primo ottobre del 1907.
Le feste tradizionaliQuali erano le tradizioni della festa di San Giovanni?
Il giorno della processione in onore di Sant’Isidoro si facevano le corone di fiori per abbellire i buoi, venivano poi benedette e messe da parte per fare il falò la notte di San Giovanni. Si preparava un piccolo falò in ogni rione del paese e tutti, uomini e donne, lo saltavano a croce, recitando un rituale che li faceva diventare gopais de froris.
Si faceva questo rito anche per non prendere una malattia: s’arrùngia (una sorta di prurito).Per la festa di Sant’Antonio cosa si faceva?
Si faceva il grande falò - su fogadoni - e tanti balli. Si faceva anche sa mina de crèsia: si mettevano, nel piazzale della chiesa, grandi teli di stoffa con polvere da sparo e durante l’elevazione della “messa cantata” si sparavano i cosiddetti guetus. Venivano fatti anche per altre feste, ad esempio, per la festa patronale di San Giacomo. -
Peppina Pili - battesimo
Testimonianza di Peppina Pili
Il battesimoQuali erano le usanze e le tradizioni per il battesimo?
Il battesimo si celebrava dopo circa nove giorni dalla nascita; la mamma andava in chiesa con il figlio, anch’io sono andata con mia mamma.
S’incresiu consisteva nell’ascoltare la messa la mattina; il sacerdote scendeva dall’altare e si avvicinava alla mamma e al bambino, le dava la candela e lei, con il bambino e la candela, s’inginocchiava nei primi gradini dell’altare. Il sacerdote recitava una preghiera, dava la benedizione, si spegneva la candela e il rito era concluso. -
Speranza Marras - festa di San Giovanni
Testimonianza di Speranza Marras
Festa di San GiovanniCi racconta com’era la tradizione della festa di San Giovanni Battista e il rituale del gopais de froris?
Il primo patrono di Mandas, proveniente dalla cultura bizantina, fu San Giovanni Battista, di cui si conserva la chiesa campestre, recentemente restaurata; la festa si celebra il 24 giugno, con una missa cantada.
La tradizione dei festeggiamenti è quella di allestire piccoli falò nei vari rioni del paese (negli incroci delle vie) - is fogadoneddus - fatti di paglia e rami e, anche, delle corone dei fiori che portavano i buoi nella processione di Sant’Isidoro e quelli che venivano messi nelle strade dove passava la processione del Corpus Domini.
Per il rituale, due persone si mettevano vicino al fuoco, uno di fronte all’altro, si scambiavano un fiore incrociando le mani e dicevano: “Gomai seus in vida de Deus – in vida de Santu Giuanni – sposus po cent’annus - in vida de Santu Giuanni – su babu, su fillu e su spiritu santu – Amen”.
Si toccavano la mano e si baciavano e, per completare il rito, saltavano il falò facendosi il segno della croce. Si instaurava così tra i due una forma particolare di amicizia e di rispetto assoluto: i due si definivano gopais de froris (compari di fiori), o, ancora meglio, santuannis.
Le comari salutandosi si dicevano: “O gomai bengiat a domu” e l’altra rispondeva: “No fait tengu su molenti mollendu, bengiat fustei” e l’altra ancora: “No fait tengu sa pudda frucendi” e l’altra rispondeva: “No ddi fait nudda at a essi po un’àtera borta”. -
Speranza Marras - la pietra della vergogna
Testimonianza di Speranza Marras
La pietra della vergognaCi racconta la storia della perda de sa bregùngia?
Un tempo questa pietra si trovava a destra dell’arco d’ingresso del piazzale della chiesa parrocchiale di San Giacomo apostolo. Su questa pietra venivano fatte inginocchiare o sedere le donne colpevoli di adulterio, le ragazze madri e gli uomini che commettevano lievi furti.
Nant ca su canonicu liggiat unu lìburu e nel sermone, durante la messa, esortava i colpevoli a pentirsi e a rendere l’eventuale refurtiva. Alcuni si presentavano spontaneamente dinanzi alla pietra. Quando i fedeli uscivano dalla chiesa alla fine della funzione religiosa (solitamente sa missa cantada, cioè quella delle ore undici che era la più frequentata) “i colpevoli” erano esposti allo scherno pubblico, alla sbregungias davanti a tutta la popolazione, e non potevano alzarsi sino a quando l’ultima persona non era uscita dalla chiesa. Da qui il nome di pedra de sa bregùngia. Era la giustizia dell’epoca.
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La statua della Vergine Assunta dormiente con i gioielli della parrocchia in occasione della sua festa.
Collezione parrocchiale.
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Particolare dei gioielli della statua.
Collezione parrocchiale.
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Rosario a tre rosoni, seconda metà XIX secolo.
Corona con avemarie in pasta vitrea rossa, pater a bottone in lamina d’argento traforata, legatura in argento con distanziatori a “S”. Appendice con croce-stella in filo d’argento con inserti in filigrana e tre rosoni a otto petali in filigrana contenenti cromolitografie.
Collezione parrocchiale.
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Rosario sardo domenicano, metà XIX secolo.
Corona con avemarie in grani di corallo, pater a bottone in filigrana d’argento, legatura in argento con distanziatori a “S”. Appendice con fiocco e croce-stella in filigrana d’argento con castone centrale in pasta vitrea, due rosoni a otto petali in filigrana con castoni in pasta vitrea alle estremità e terminale con crocefisso in fusione d’argento e castoni in pasta vitrea sui bracci.
Collezione parrocchiale.
Foto di Claudia Castellano.400600
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Gruppo dei bambini di Prima Comunione, giugno 1933.
Foto dell’archivio comunale.600371 - images/morfeoshow/cerimonie-4499/big/002 cerimonie_mandas.jpg
Arrivo in chiesa della sposa, 22 ottobre 1950.
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Matrimonio, 22 ottobre 1950.
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Il canonico Salvatore Dessì, don Cadoni e un folto gruppo di chierichetti, anni Cinquanta.
Foto dell’archivio comunale.600371 - images/morfeoshow/cerimonie-4499/big/005 cerimonie_mandas.jpg
Prima Comunione di Franco e Pietro Carta, 9 giugno 1955.
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La sposa con gli invitati fuori dalla propria abitazione. Riconoscibili, da sinistra, Giorgio Cabras, Tilde Cabras, Anna Luisa Cabras, Giovanni Mulliri e Agnese Fadda, 1963.
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Matrimonio di Paola Orrù e Paolo Melis, 1963.
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Distribuzione dei confetti: Paolo Sulis, Ines Schintu, Maria Assunta Seu e gli sposi Paolo Melis e Paola Orrù, 1963.
Foto dell’archivio comunale.415600 - images/morfeoshow/cerimonie-4499/big/009 cerimonie_mandas.jpg
Matrimonio di Lucia Deidda e Pasqualino Cucciari, 27 aprile 1964.
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Gruppo di invitati al matrimonio di Lucia Deidda e Pasqualino Cucciari, 27 aprile 1964.
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Gruppo di invitati al matrimonio di Lucia Deidda e Pasqualino Cucciari, 27 aprile 1964.
Foto dell’archivio comunale.600401 - images/morfeoshow/cerimonie-4499/big/012 cerimonie_mandas.jpg
Matrimonio di Francesco Spano e Rita Pilia, 27 novembre 1965.
Foto dell’archivio comunale.600404 - images/morfeoshow/cerimonie-4499/big/013 cerimonie_mandas.jpg
Matrimonio di Vitalia Spano e Antonio Atzori, 1971.
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Matrimonio di Steri Aurora.
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Matrimonio Pittau-Vacca.
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Matrimonio di Anna Sedda e Angelino Serra.
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Matrimonio di Antoniccu Piras.
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Matrimonio di Mario Pisano e Anna Curreli.
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Matrimonio.
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Ingresso della chiesa: il giorno del matrimonio.
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Foto di gruppo all’ingresso della chiesa: il giorno del matrimonio.
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Matrimonio di Immacolata Boi e Cenzo Ronconi.
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Il giorno del matrimonio.
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Foto ricordo per il matrimonio.
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Prima Comunione di Luisa Melis, con Elisea Melis, Adriana Melis, Alessio Melis ed Efisio Melis.
Foto di Roberto Tocco.415600 - images/morfeoshow/cerimonie-4499/big/026 cerimonie_mandas.jpg
Prima Comunione di Maria Pia Santa Cruz.
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Ricordo della Prima Comunione di Maria Grazia.
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Ricordo della Prima Comunione.
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Foto ricordo in occasione della Prima Comunione.
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Foto ricordo in occasione della Prima Comunione.
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Matrimonio di Fiorenza e Pepuccio Siddi, con Efisio Melis.
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Matrimonio di Anna Curreli e Mario Pisano.
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Matrimonio di Filomena Saba e Giovanni Scioni.
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Confraternita al rientro in parrocchia da una processione, 1933.
Foto dell’archivio comunale.600415 - images/morfeoshow/celebrazioni-8175/big/002 celebrazioni_mandas.jpg
Processione con il simulacro di San Luigi Gonzaga, anni Cinquanta.
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La Santissima Vergine del Carmelo ospite in casa Raccis, ottobre 1950.
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Processione.
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Santissimo Sacramento in processione per il Corpus Domini.
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Santissimo Sacramento in processione per il Corpus Domini.
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Santissimo Sacramento in processione per il Corpus Domini, anni Cinquanta.
Riconoscibili, da sinistra, il maresciallo Francesco Urru, preceduto dal sindaco Virgilio Perra, e il dottor Francesco Cabras.
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Processione con le confraternite.
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Processione per le vie del paese.
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Processione per le vie del paese.
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Processione in onore della Vergine Maria.
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Scene di vita ecclesiastica a Mandas.
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Scene di vita ecclesiastica a Mandas.
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Celebrazione religiosa.
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Tziu Gerenniu prepara le palme per la benedizione.
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S’incontru. Una delle tante tradizioni importate a Mandas dagli spagnoli.
In primo piano Beniamino Pilia con uno dei figli e Virgilio Perra; in fondo, con il vestito da confratello, Serafino Mulliri, anni Cinquanta.
Foto dell’archivio comunale.
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S’incontru, anni Cinquanta.
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S’incontru: momento culminante dell’incontro fra il Cristo Risorto e la Madonna, anni Cinquanta.
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S’incontru: momento culminante dell’incontro fra il Cristo Risorto e la Madonna, anni Cinquanta.
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S’incontru: rientro in parrocchia della processione, anni Cinquanta.
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Ricordo del giorno di Pasqua, Mandas, 22 aprile 1962.
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Falò di Sant’Antonio Abate, 17 gennaio 2011.
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Balli sardi del gruppo folk “Santu Jacu” nel compendio medioevale di Sant’Antonio in onore del Santo.
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Suonatori di launeddas eseguono i goccius in onore di Sant’Antonio.
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Domenica delle Palme: benedizione. Riconoscibili le sorelle Paba.
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S’incontru: la Madonna con il velo da lutto, 2011.
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S’incontru: momento culminante dell’incontro fra il Cristo Risorto e la Madonna, 2011.
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S’incontru: le sorelle Bruna e Ninna Atzori con lo stendardo, 2011.
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S’incontru: il rientro della processione. Visibile la croce processionale in argento della collezione parrocchiale.
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Festa di Sant’Isidoro: piazzale della chiesa di San Giacomo con i buoi e i trattori, 1987.
Sant’Isidoro è protettore degli agricoltori e patrono di Madrid. La festa in onore del Santo è retaggio della dominazione spagnola.
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Festa di Sant’Isidoro: piazzale della chiesa di San Giacomo con il poeta Giovanni Zedda e i cavalli bardati a festa, 1987.
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Processione di Sant’Isidoro: Dino Vacca con il suo giogo di buoi, 1987.
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Festa di Sant’Isidoro: trattori addobbati nel piazzale della parrocchia di San Giacomo, anni Novanta.
Archivio fotografico dei mandaresi.600401 - images/morfeoshow/celebrazioni-8175/big/034 celebrazioni_mandas.jpg
Processione di Sant’Isidoro: trattori addobbati, anni Novanta.
Archivio fotografico dei mandaresi.600402 - images/morfeoshow/celebrazioni-8175/big/035 celebrazioni_mandas.jpg
Festeggiamenti per i quattrocento anni della chiesa parrocchiale di San Giacomo apostolo, 2 luglio 2005.
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Sant’Isidoro. Statua policroma in legno intagliato e dipinto di bottega sarda dei primi del Seicento, 2011.
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Festa di Sant’Isidoro. Trattori nel piazzale antistante la chiesa di San Giacomo, pronti per la benedizione, 2011.
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Festa di Sant’Isidoro. Trattori addobbati a festa: in primo piano su pallini con il grano, in segno di buon auspicio per un buon raccolto, 2011.
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Festa di Sant’Isidoro. Dettagli dei trattori addobbati: fiori, grano e spighe, 2011.
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Festa di Sant’Isidoro. Dettagli dei trattori addobbati: icone religiose, spighe e fiori, 2011.
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Processione di Sant’Isidoro. Trattori addobbati a festa: riconoscibile Alessandro Deidda, 2011.
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Processione di Sant’Isidoro, 2011.
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Processione di Sant’Isidoro. Cavalli bardati con i cavalieri Matteo Gessa, Matteo Damu e Giancarlo Colombo, 2011.
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Processione in onore di San Giovanni Battista: partenza dalla chiesa di San Giacomo, 2011.
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Festa di San Giovanni Battista: preparazione del falò nella chiesetta campestre, 2011.
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San Giacomo Maggiore, patrono di Mandas.
La festa di San Giacomo apostolo il Maggiore, vanta a Mandas origini antichissime. Si ha notizia della festa manna de sa idda, infatti, già negli ultimi anni del 1500 quando la comunità di Mandas innalzò a San Giacomo, patrono del paese, un grande santuario. La festività rappresentava per Mandas, paese a economia esclusivamente agricola, l’occasione per rinnovare i propri sentimenti religiosi di gratitudine per la fine della raccolta del grano. La festa iniziava, come oggi, il 24 luglio con una solenne processione con il simulacro del santo, a cui partecipava tutto il paese e alcuni suonatori di launeddas. Per un’antica leggenda, in processione non si porterà mai il piccolo simulacro di San Giacomo (conservato in una nicchia del muro del presbiterio) perché si tramanda che, spostando la statua, si scatenerebbe un diluvio. Il 25 luglio tutto il paese si recava alla messa solenne per ascoltare il panegirico in onore del santo. Il pomeriggio, come ricordano anche l’Angius e il Casalis, il paese assisteva allo “spettacolo della corsa e alla ricreazione della danza nazionale all’armonia delle launelle”. La chiesa parrocchiale di San Giacomo apostolo il Maggiore è stata consacrata da monsignor Ernesto Maria Piovella il 5 maggio 1928.
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Festa patronale di San Giacomo apostolo: il Santo, 2011.
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Festa patronale di San Giacomo apostolo: il giogo dei buoi nel piazzale della parrocchia di San Giacomo, 2011.
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Festa patronale di San Giacomo apostolo: il giogo dei buoi, particolare degli addobbi, 2011.
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Festa patronale di San Giacomo apostolo: il giogo dei buoi di Perra Mario porta il Santo in processione, 2011.
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Festa patronale di San Giacomo apostolo: suonatori di launeddas, 2011.
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Festa patronale di San Giacomo apostolo: confraternite in processione, 2011.
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Festa patronale di San Giacomo apostolo: Gruppo Folk “Santu Iacu” di Mandas in processione, 2011.
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Festa patronale di San Giacomo apostolo: Gruppo Folk “Santu Iacu” di Mandas, 2011.
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I gioielli
“L’Istituzione religiosa si coltiva con zelo e se ne vedono certi gli effetti. I mandaresi non credono già a fattucchiere, stregonerie, è solo persistente in alcuni del popolo la vana osservanza di certi giorni nei quali credesi operar malauguratamente si incomincino un servigio, cangino alloggio, etc…”.
Angius V., Casalis G.
La ricerca condotta sul territorio conferma che Mandas è un paese fortemente devoto alla religione cristiana e qualsiasi tradizione, anche magica e profana, è sempre in qualche modo legata alla devozione.
La grande quantità di oro e argento posseduta dalla chiesa testimonia il fatto che il paese aveva una certa importanza culturale e sociale. Una parte di questa preziosa collezione è stata resa fruibile al pubblico ed esposta all’interno del Museo di arte sacra Peregrinatio Fidei (vedi I musei), mentre una notevole quantità di anelli, collane e spille - per la maggior parte ex-voto e donazioni fatte dai fedeli alla Chiesa - è custodita nella chiesa parrocchiale di San Giacomo e viene utilizzata, in parte, per addobbare la statua della Vergine Assunta (custodita nel museo) in occasione della sua festa.
La Vergine Assunta è abbellita anche con diversi rosari dalle molteplici fatture. Il rosario cristiano deriva il suo nome da rosarium (rosario, giardino di rose); nel Cristianesimo, infatti, la rosa è simbolo del sangue versato da Cristo e della purezza della Vergine, gli avvenimenti cioè che sono il fulcro della recitazione del rosario. La stella a quattro, sei o otto punte disposte a raggiera intorno alla parte centrale, come il sole con i suoi raggi e l’ostia all’interno dell’ostensorio, simboleggia il Cristo, che come il sole, trionfa sulle tenebre. Col tempo il rosario, oltre che strumento devozionale, divenne anche un oggetto decorativo e ornamentale; considerato simbolo di condizione sociale, venne ostentato come gli altri gioielli e portato al collo, alla cintura o esibendolo tra le mani.
I rosari più antichi sono molto semplici, legati in argento e con decorazioni quasi nulle. Il terminale è sempre a forma di croce, in lamina o filigrana d’argento. Di derivazione spagnola sono i rosari che presentano nell’appendice rosoni molto elaborati, con spirali e volute fitomorfe in filigrana d’argento. I rosoni possono essere tre o uno oppure due accompagnati dal Crocifisso. Anche le corone, solitamente, sono realizzate con materiali preziosi, con grani in corallo, pietre dure, paste vitree colorate, d’argento in filigrana o in lamina con granulazione. I rosoni possono contenere reliquie, immagini o frammenti di tessuto. L’appendice che unisce le estremità della corona con gli elementi pendenti, può raffigurare una maschera, un volatile o essere costituita da un bottone o da una figura geometrica traforata.
Il tesoro della chiesa custodito nel museo di arte sacra consiste in diversi oggetti d’oro e d’argento di cui documentiamo alcuni, tra i più preziosi, seguendo l’ordine di esposizione nelle teche in cui sono riposti.
Un giglio portato dalla statua di San Giuseppe; una palma, simbolo dei santi martiri; una patena e un piattino usati durante il rito della Comunione; un’insegna professionale con incisa la scritta “charitas”: questi oggetti sono datati tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo, sono tutti in argento cesellato, realizzati cioè con un particolare strumento detto cesello, dal taglio smusso e di bottega sarda.
Una croce d’altare del diciannovesimo secolo, in legno intagliato e dipinto, di bottega locale, rappresentante il Cristo in croce con le ferite procurate dai chiodi.
Una croce processionale realizzata in argento sbalzato e cesellato, riccamente decorata e di bottega sarda, con i simboli dei quattro evangelisti in oro: l’aquila è Giovanni, il toro è Luca, il leone è Marco e l’angelo è Matteo; il Cristo, anch’esso in oro, si trova al centro. Nella parte posteriore della croce, al centro, risalta l’Immacolata Concezione in oro.
Un calice e una pisside del diciannovesimo secolo, dell’argentiere Luigi Montaldo. Nato in Liguria nel 1782, si trasferì in Sardegna, con la famiglia, nel 1798. Aprì bottega a Cagliari, nel quartiere della Marina, e lavorò in molte chiese sarde (cattedrale di Iglesias e di Cagliari) e nel Palazzo Regio. Gli argenti realizzati per la chiesa di Mandas sostituirono quelli sottratti in un furto sacrilego compiuto da ignoti nel 1840. Tutti i suoi lavori sono marchiati con le lettere “L.M.”, iniziali del suo nome, all’interno di un ovale perlinato. Il calice (28 cm di altezza e 14 di diametro), del 1824, realizzato in coppia con la pisside, presenta un piede circolare ricco di motivi ornamentali con piccoli fiori, intrecci, perle, palmette stilizzate e festoni applicati e ornati che si ripetono nel nodo piriforme e nel sottocoppa; la coppa invece è liscia con orlo estroflesso. La pisside (40 cm di altezza e 15 di diametro) ripropone la stessa foggia e repertorio decorativo del calice ma in modo meno ricco e senza festoni applicati. In entrambi i pezzi sono presenti le iniziali “L.M.” del Montaldo e le iniziali “L.C.” di Luigi Cirronis, l’assaggiatore regio, colui che si occupava cioè di verificare l’autenticità dei manufatti. Nei decori sono evidenti i richiami allo stile impero, utilizzati nelle realizzazioni francesi e liguri dello stesso periodo.
Un ostensorio raggiato (59 cm di altezza e 17 di diametro) del diciottesimo secolo, portato tutt’oggi in processione e ricco di decorazioni in oro e argento. L’oggetto riprende la tipologia tipica settecentesca degli ostensori raggiati di produzione ligure, in questo caso, con tripudio di angeli tra cumuli di nubi barocche entro fasci di raggi; sono inoltre evidenti elementi vegetali rappresentanti foglie di vite, grappoli d’uva e spighe di grano. Nella raggiera e nella base sono ripetuti i marchi “L.M.” e “L.C.” all’interno di un ovale perlinato. Questo ostensorio viene utilizzato durante le celebrazioni delle Quarantore e del Corpus Domini.
Una pisside del sedicesimo secolo è uno degli oggetti più antichi del tesoro; è realizzata in argento sbalzato e parzialmente dorato. Ancora, una patena del diciottesimo-diciannovesimo secolo, in argento dorato. Sono entrambi di fattura liscia, senza decorazioni, molto semplici.
Una grande carta gloria (tre carte con alcune parti della messa, in origine solo il Gloria), posta sull’altare in una custodia o piccolo leggio, scritta in latino, del diciottesimo secolo, in lamina d’argento sbalzato su anima di legno, nella parte superiore si nota la figura di San Giacomo; e altre due carte di dimensioni ridotte ma della stessa fattura, tutte di un argentiere sardo.
Si possono ammirare ancora: un messale romano tridentino in un’edizione del 1965 circa in cui viene riportata la messa in latino come si celebrava sino al 1970; due corone per statue del diciottesimo secolo in argento sbalzato e cesellato, di bottega locale; un’aureola di statua del diciassettesimo secolo in argento sbalzato, cesellato e traforato, di bottega sarda; due emblemi di confraternita del diciannovesimo secolo, in metallo argentato e sbalzato, con figure di teschi incisi, sicuramente utilizzati per compiere riti funebri, di bottega locale; cinque insegne processionali di confraternite del diciottesimo-diciannovesimo secolo, in argento sbalzato e cesellato, di bottega sarda, di cui due dedicate alla Madonna del Rosario (tengono infatti il rosario in mano), le altre tre dedicate alla Madonna d’Itria.
La lettiga con la statua della Vergine Assunta dormiente, in legno intagliato, con decorazioni dorate e due angeli che reggono la corona, fu realizzata nel 1732 dallo scultore Giuseppe Volpe. I vestiti in seta e minuziosamente decorati sono opera di Pietro Mirello e risalgono agli anni Cinquanta; il diadema a cinque stelle, la corona e i sandali, tutti in argento sbalzato e cesellato, sono quelli realizzati dall’argentiere Ignazio Solanas nel 1713.
Una croce patriarcale vescovile di San Giacomo Minore (patriarca di Gerusalemme) del diciassettesimo secolo, in argento sbalzato e cesellato con parti fuse, di argentiere sardo. Possiede due bracci e presenta decorazioni floreali e puntiformi lungo tutta l’asta.
Un secchiello (17 cm per 10,5) per l’acqua benedetta del 1841, realizzato dal Montaldo, a foggia di vaso di gusto classicheggiante, ha il piede circolare gradinato, ornato con ovoli, e corpo emisferico bombato, decorato da sbaccellature concave, rifinito nell’orlo da un decoro stilizzato e dotato del marchio “L.M.” ripetuto nel fondo della base e nel manico; aspersorio del diciottesimo secolo (probabilmente faceva coppia con il secchiello del tesoro parrocchiale derubato nel 1840) e una campanella decorata con la figura di San Giacomo.
Una pisside di piccole dimensioni, con decorazioni nel piede, nella coppa e una croce nel coperchio, e un calice di fattura liscia senza decorazioni, del sedicesimo secolo (uno degli argenti più antichi del tesoro), in argento sbalzato e parzialmente dorato, di argentiere cagliaritano.
Di Luigi Montaldo: una navicella portaincenso (12,5 cm per 17) con forma di galeone e decorazioni a sbaccellature nel piede e nel corpo della navetta (come in diversi esemplari realizzati dall’argentiere ligure per altre chiese sarde, come le parrocchiali di Selargius e Maracalagonis) e un turibolo (26 cm per 8,5) del 1851, realizzato a pendant della navetta, con foggia a cratere classico, ornato da sbaccellature e motivi ornamentali che rivelano il gusto impero (elementi comuni agli esemplari realizzati dal Montaldo per le parrocchiali di Gesico e Selargius nel 1841 e per la chiesa dei Santissimi Giorgio e Caterina nel 1843).
Un piatto del diciottesimo secolo utilizzato come alzata per mettere l’asciugamano usato dal sacerdote nelle funzioni religiose o per riporvi il tradizionale copricapo del vescovo detto “zucchetto”.
Un reliquiario del diciottesimo secolo, in argento sbalzato, cesellato, filigranato e vetro; una teca eucaristica del diciottesimo secolo, in argento cesellato di bottega sarda.
Una coppia di candelieri (24 cm di altezza e 13 di diametro), di gusto neoclassico, appartenenti alla produzione del Montaldo di cui mostrano il punzone nel fusto e nella base; a forma di colonna liscia, hanno il piede circolare ornato da ovoli e foglie stilizzate. Nella base è incisa la sigla “D.B.C.”, iniziali del committente, identificabili con il nobile possidente di Mandas Don Bartolomeo Casu.
Una croce d’altare (85 cm per 39), con il Cristo in oro, di produzione genovese posteriore al 1824, come attesta la triplice punzonatura con l’aquila sabauda, il delfino di Genova e le iniziali “L.N.” all’interno di un ovale perlinato. Presenta anche il marchio di Luigi Montaldo che non fu l’artefice dell’opera, ma molto probabilmente fece da mediatore alla vendita. In lamina d’argento su supporto ligneo, ha la base trapezoidale con decori a ovoli e sbaccellature, croce raggiata percorsa da eleganti girali fitomorfi e terminazione dei bracci a cartouche, secondo il gusto eclettico tipico dell’Ottocento.
Opera di grande importanza sono due angeli porta candelabro del sedicesimo secolo, in argento, con le vesti riccamente decorate e gli svolazzi. In origine erano quattro, i due in piedi accoppiati ad altri due genuflessi, purtroppo perduti. Sono utilizzati tutt’ora sull’altare in occasione delle Quarantore e della Pasqua.
Diverse aureole, corone e diademi di statue di vari santi, datati dal diciassettesimo al diciannovesimo secolo, tutti di orafi sardi, in argento cesellato e traforato, riccamente decorati, anche con motivi floreali.
Non mancano nel museo elementi simbolici con valenza magica: ad esempio, occhi di Santa Lucia in vetro, simbolo del suo martirio, del diciottesimo secolo, riposti su un’alzata di ridotte dimensioni, in argento sbalzato e cesellato.
C’è anche una reliquia. Fin dai tempi antichi è consuetudine conservare e venerare le spoglie degli eroi, ma in epoca cristiana si diffonde la credenza secondo cui nei resti dei martiri è presente un’energia che produce miracoli, Per questo motivo le loro reliquie, o anche oggetti a loro appartenuti, diventano oggetto di venerazione e vengono loro attribuiti poteri straordinari. Le reliquie potevano essere custodite all’interno di varie tipologie di contenitori oppure cucite nelle vesti per proteggersi dai mali, assumendo poteri che sconfinano nella sfera del magico e del miracoloso.
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