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Fabrizio Placitu - il nostro paese
Testimonianza di Fabrizio Placitu
Il nostro paeseIl signor Fabrizio racconta della storia del paese facendo riferimento in particolar modo al dialetto che ritiene uno dei più antichi della Sardegna. Sostiene che anticamente il paese era denominato Galilla dal nome di un capitano di nome Iolao che era sbarcato con la sua flotta in Sardegna a causa di un cataclisma. Inizialmente la flotta sostò nei pressi di Cagliari, poi si insediò nell’entroterra, nel territorio intorno a San Nicolò Gerrei, fondando vari paesi, tra cui Grillo e Nuova Iola (da cui il nome del territorio del Parteolla); San Nicolò Gerrei è solo l’ultima delle denominazioni del paese; dopo Galilla fu chiamato Pauli Gerrei che deriverebbe dalla posizione del paese nei pressi di una palude (pauli in sardo). Nel 1863 divenne San Nicolò Gerrei.
Gli abitanti di questo paese sono sempre ricordati come persone laboriose, oneste è soprattutto molto legate alla propria terra. -
Fabrizio Placitu - canzone popolare
Testimonianza di Fabrizio Placitu
Canzone popolareIl signor Fabrizio canta una canzone popolare per farci capire il modo di parlare del paese, sa cantada a sa paullesa.
S’amorada mia tenit totus is donus di Raimondo Locci (1823-1894), in Canti popolari di Serdiana di Marco Carta.
La canzone parla di Giovanni Marroccu, un uomo un po’ strano sopranominato Tracciolla, che voleva scrivere una canzone d’amore per una ragazza. Con questa idea andò a cercare un poeta chiedendogli di mettere nella canzone “tutti i doni”. Raimondo Locci, uomo di spirito, compose invece una canzone beffarda per prendersi gioco di Tracciolla. Sembra però che dopo la burla il poeta, pentito del suo gesto, abbia deciso di comporre una vera canzone d’amore.
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Monumento ai caduti, via Umberto.
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Monumento in onore di Salvatore Corrias, piazza Emilio Lussu.
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Piazza Suergiu Mannu, nei pressi del centro per anziani.
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L’opera di Giovanni Campus dedicata a Salvatore Naitza in piazza Emilio Lussu.
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Piazza Emilio Lussu.
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Piazza Emilio Lussu.
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La scultura di Pinuccio Sciola dedicata a Salvatore Naitza nella piazza omonima.
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Via Umberto, strada principale del paese.
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Piazza Funtana de Concia, nella zona storica del paese.
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Piazza Funtana de Concia, nella zona storica del paese.
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Antica casa rurale in pietra.
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Antica casa rurale in pietra con finestre in legno.
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Antico pagliaio in pietre con porta in legno e tetto di tegole.
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Antico pagliaio in pietre con porta in legno e tetto di tegole.
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Casa rurale ristrutturata.
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Casa rurale ristrutturata.
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Casa rurale ristrutturata.
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Casa rurale ristrutturata.
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Casa rurale ristrutturata con il forno all’esterno.
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Abitazione tipica del paese con ampio cortile interno, articolata su due piani con balconcino al piano superiore e, all’interno, pavimentazione in tavolato.
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Abitazione tipica del paese, articolata su due piani con balconcino al piano superiore.
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L’acquedotto.
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Particolare del capitello del portale degli eredi del signor Giuseppe Cabboi, residenza estiva del marchese, via Corona.
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Particolare del capitello del portale degli eredi del signor Giuseppe Cabboi, residenza estiva del marchese, via Corona.
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Portale con ampio arco di una tipica casa del paese.
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Portale in legno e grande arco in pietra ristrutturato.
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Portale in legno con ampio arco di una tipica casa del paese.
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Portale in legno con ampio arco e muri in pietra di una tipica casa del paese.
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Portale in legno con ampio arco e muri in pietra di una tipica casa del paese.
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Portale in legno e grande arco in pietra lavorata, via Corona.
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Portale in legno di una tipica casa del paese.
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Portale in legno decorato di una tipica casa del paese.
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Portale di una tipica casa del paese.
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Portoncino in legno con arco in pietra dell’antica Pretura.
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Portone in ferro con ampio arco in pietra.
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Maniglia in ferro battuto di un portone.
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Battente in ferro battuto di un portone.
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Battente di un portone antico in legno.
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Panorama del paese, 1909.
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Panorama del paese, 1954.
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Panorama del paese dalla via principale, anni Settanta.
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Foto d’epoca del paese.
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Foto d’epoca del paese. Sullo sfondo si intravede la chiesa parrocchiale.
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Foto d’epoca del paese.
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Panorama del paese da Castangias.
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Il paese innevato, febbraio 2010.
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Il paese innevato, febbraio 2010.
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Panorama del paese. Al centro la chiesa parrocchiale di San Nicola di Bari.
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Panorama del paese dalla campagna circostante.
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La casa cantoniera “Planusangu”.
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Ovile della famiglia Camboni.
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La campagna circostante San Nicolò Gerrei.
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La campagna circostante San Nicolò Gerrei.
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La campagna circostante San Nicolò Gerrei.
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La campagna circostante San Nicolò Gerrei.
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Su fossu de su sodrau, località Marrada.
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Su fossu de su sodrau, località Marrada.
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Su fossu de su sodrau, località Marrada.
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Su fossu de su sodrau, località Marrada.
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I daini della cooperativa Su Niu de S’Achili.
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Probabile circolo funerario in località Montixi.
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Probabile circolo megalitico in località Su Musuleu.
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Probabile circolo megalitico in località Su Musuleu.
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Fonte sacra di cultura nuragica in località Su Musuleu.
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Fonte sacra di cultura nuragica in località Is Mulineddus.
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Antica fonte d’acqua.
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Stele trilingue in bronzo (punica, latina e greca) dedicata alla divinità salutifera Esculapio, risalente al I secolo a.C. e rinvenuta, nel febbraio del 1861, in località Santu Iacci.
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Su mulliu (mulino d’acqua) nel cortile interno della casa del signor Salvatore Furcas.
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Foto ricordo di gruppo, 1800 circa.
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Giuseppe Schirru e Marianna Furcas, primi Novecento.
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Domenico Putzolu, 1900.
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Erminia, Angelica ed Ernesto Furcas, 1910 circa.
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Domenico Putzoli e Nicolina Cardu, figlia dell’argentiere Raimondo Cardu, 1912.
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Scolaresca, 1912.
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Felicina Cardu figlia dell’argentiere Raimondo Cardu, 1915 circa.
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Erminia Furcas, agosto 1917.
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Emanuele Camboni (1860-1919) con il costume tradizionale.
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Barbara Placitu, 1920.
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Barbara Placitu, 1920.
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Marietta Massa, Domenico e Massimina Vargiu, Domenica Furcas, 1922.
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L’argentiere Raimondo Cardu con la sua famiglia, 1924.
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Reduci della prima guerra mondiale, 1924.
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Emilia ed Ernesto Massa, Laurina ed Erminia Furcas, 1926.
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Scolaresca, 1928 circa.
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Foto di gruppo, 1930.
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Foto di gruppo, 1935.
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Cardia Bonaria (classe 1920), 1935.
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Laurina Furcas, Erminia e Giuseppe Massa, 1939.
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Laurina Furcas, anni Quaranta.
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Bonaria Cardia, moglie di Giuseppe Secci, 1940 circa.
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Giuseppe Erriu con la divisa militare, 1940.
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Pasquale Placitu, anni Quaranta.
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Angelica Furcas, Giovanni, Claudio e Giuseppe Massa, 1941.
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Francesco Camboni (1849-1941) con sa berrita.
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Pasquale Placitu ed Emilia Massa nel giorno del loro matrimonio, 1945.
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Battesimo della figlia dei coniugi Placitu, 1947.
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Gruppo di amici, fine anni Quaranta.
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Giovani amici, inizi anni Cinquanta.
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Giovanni, Pasquale e Graziella Placitu, Emilia Massa e Laurina Furcas, anni Cinquanta.
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Scolaresca dell’asilo, 1955.
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Recita di un gruppo di bambini dell’asilo, 1956.
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Foto ricordo della nevicata del 1956 in località Sa Serra.
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Teresa Erriu, 1957.
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Virgilia Erriu, 1957.
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La famiglia Placitu in località Sa Serra, 1960.
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Pasquale e Raffaele Placitu, Francesco Massa e Stanislao Furcas, 1960.
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Festa della tosatura, 1960.
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Erminia Furcas, 1960.
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Luciana Quartu con la nonna materna Lucia Cardia, anni Sessanta.
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Giovani di San Nicolò, anni Sessanta.
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Festa paesana, anni Sessanta.
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Ballo sardo, 1960.
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Mariano Scioni, 1960.
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Mariano Scioni, 1960.
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Scolaresca, 1960 circa.
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La piccola Bonaria Cardia con Mario, Francesco, Salvatore, Nicolino, Raimonda e Antonietta Angius e Teresa Cardu, 1926 circa.
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Efiso Quartu, Pasquale e Francesca Placitu, Nicolino Deplano, Lucio Deplano, Antonietta Taccori, 1962.
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La famiglia Scioni, 1962 circa.
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La classe di quinta elementare, anno scolastico 1964-1965.
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Festa in piazza; nella foto si riconosce Nicolina Secci, 1965.
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Prime comunioni, 1969-70.
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Salvatore Scioni (classe 1904), anni Settanta.
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Foto ricordo di gruppo; si riconoscono, tra gli altri, Letizia e Grazietta Orofino, Edvigia Taccori, Nino Musiu, Annetta Putzolu, Grazia Simbula, Antonietta Taccori.
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Giovanni Placitu, Raffaella e Vittoria Lallai, Maria Cossu.
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Rosa Corrias.
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Antonio Desogus con il suo gregge.
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Erminia Furcas con la figlia Maria Massa nel giorno del battesimo.
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Nicolò Cardia, marito di Felicina Cardu.
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I coniugi Placitu.
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Cosimo Taccori.
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Daniele Scioni.
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Erminia e Angelica Furcas.
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Ernesto Furcas.
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Teresa Erriu.
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Giuseppe Erriu e Vitalia Taccori con i figli.
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Mariano Scioni con la famiglia.
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Francesco Massa, anni Settanta.
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Giuseppe Secci e Bonaria Cardia con i figli Chiara, Antonio, Giovanna, Nicolina e Bruno.
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Felicina Cardu, figlia di Raimondo Cardu.
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Salvatore Furcas e Lucia Cardia.
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Erminia e Giovanni Massa.
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Laurina Furcas con i figli Emilia, Erminia ed Ernesto Massa.
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Teresa Secci prepara s’ollu ’e stincanu (l’olio di lentisco).
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La campagna in località Sa serra manna.
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Maria Secci.
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Ritratto in costume tradizionale di Brigida Deidda, olio su tela. L’opera è custodita presso il Comune di San Nicolò Gerrei.
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Al centro, la signora Rosa Furcas.
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Salvatore Corrias, il giovane di San Nicolò Gerrei che fece espatriare in Svizzera centinaia di perseguitati politici ed ebrei. Riconosciuto come partigiano combattente, nel giugno del 2006, il Presidente della Repubblica gli conferì la medaglia d’oro al merito civile.
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Antonio Scioni.
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Marietta Scioni.
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Severina Scioni.
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Giuseppe Secci, marito di Bonaria Cardia.
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Giuseppe Secci.
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Teresa Secci intreccia un cestino.
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Teresa Secci fila la lana.
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Il telaio di Teresa Secci.
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Antonia Taccori.
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L’aratura dei campi.
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Foto ricordo delle famiglie Secci e Corrias.
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Maria Secci.
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Giuseppe Secci e il figlio Bruno potano la vite.
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Gruppo di amici nel giorno della festa del patrono.
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La grande festa dell’uccisione del maiale.
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Bonaria Cardia mentre lava i panni.
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Scolaresca.
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Foto ricordo.
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Scolaresca.
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Scolaresca.
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Gruppo di amici.
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Un militare.
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Un militare.
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Un militare.
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Un militare.
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Giuseppe Erriu.
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Antichi mestieri
Lavori femminili
La lavorazione del pane
La lavorazione del pane era un tipico lavoro femminile a cui collaborava tutta la famiglia; a dieci anni le ragazze sapevano già maneggiare su sedatzu (il setaccio) e gramolare la pasta del pane nero (su ciuexi). La preparazione del pane richiedeva molte ore di lavoro: le donne iniziavano all’alba e finivano all’ora di pranzo. Veniva fatto ogni dieci-quindici giorni; la provvista del pane, conservato in canestri e coperto con panni, era sufficiente, infatti, per tale periodo.
Su trigu (il grano) veniva ripulito dalle impurità con su culliri de ferru (un cesto di ferro), veniva poi lavato, asciugato al sole e sottoposto a ripulitura con le mani (sa prugadura). Subito dopo veniva macinato in sa mola de pedra, azionata dall’asino. La farina ricavata veniva setacciata con diversi tipi di sedatzus a seconda del pane che si doveva ottenere. Su sedatzu grussu (il setaccio grosso) serviva per eliminare la crusca, quello fine (su marineri) serviva per ottenere su sceti (la farina di prima scelta) o sa simbula grussa (la semola grossa) mentre con su sedatzu de seda (setaccio di seta) si otteneva su simbulinu fini (il semolino fine). La farina veniva poi passata a sa spalinadura per eliminare su civraxeddu (la farina veniva filtrata nel setaccio per eliminare la crusca di scarto). Per ottenere il pane bianco si setacciava ancora una volta la farina in su culliri (un cesto di giunco).
Si prendeva infine su framentu (un pezzo di pasta lievitata e messa da parte), si faceva sciogliere in acqua tiepida e si metteva insieme alla farina in sa crobi (un cesto) a riposare al caldo per tutta la notte.
Al mattino presto si procedeva con sa spongiadura (con i pugni chiusi delle mani si impastava la farina con acqua e sale) in sa scivedda (un recipiente di terracotta); subito dopo l’impasto veniva messo sopra un tavolo di legno dove veniva lavorato meglio sino a ottenere una pasta morbida: sa ciuerxidura. Ultimata la lavorazione l’impasto veniva rimesso in sa scivedda a lievitare per circa due o tre ore. Poi si dava la forma al pane (sa pesadura de su pani) e si faceva riposare in su canisteddu (un grande cesto di giunco) dove proseguiva la lievitazione per circa un’altra ora. Questa ulteriore lievitazione veniva fatta solo per il pane normale e su civraxu e non per il pane bianco e su cocoi.
Nel frattempo si accendeva il forno e, una volta raggiunta la giusta temperatura, lo si ripuliva prima dalle braci con un ferro ricurvo e poi si procedeva a sa scovadura ossia alla ripulitura con una scopa di erbe aromatiche (sa modditzi) per eliminare la cenere. Il pane veniva, infine, messo in forno con una paletta di ferro e controllato ogni tanto per evitare che si bruciasse.
Il telaio e la produzione dei tessuti
I tessuti erano il lino, la lana e il cotone.
Nel paese, ancora oggi, qualche donna lavora al telaio, soprattutto per la produzione di tappeti e arazzi, ma anche di asciugamani e altri tessuti.
Il tessuto più semplice da lavorare e anche quello più antico era il lino (su pannu lisu), grosso o fine, e poi la lana. Il cotone (tessuto d’importazione) comparve successivamente; era acquistato in matasse, grezze o candide, secondo l’uso che se ne doveva fare.
I tessuti a disegni geometrici erano chiamati a scacu, quelli a fiori o con riproduzioni di animali venivano chiamati a soliuru. Colori e motivi erano diversi da zona a zona e dipendevano anche dalla fantasia delle donne che lavoravano al telaio.
Prima di passare alla tessitura con il telaio (su tralaxu) si doveva preparare il filo di lino o di lana con la conocchia e il fuso (sa cannuga e su fusu). La canocchia di canna, con manico di legno ben levigato e costruita dai pastori nel tempo libero, e il fuso di legno erano strumenti molto importanti per la tessitura.
Il tessuto di lino (su tessingiu de linu)
Il fior di lino, su cirroni, una fibra sottilissima, era utilizzato per la produzione di indumenti personali (camicie da donna e da uomo), pantaloni estivi per il costume maschile ma anche per lenzuola e tovaglioli. La stoppa invece era destinata alla produzione di un tessuto mediocre e grossolano utilizzato per confezionare tovaglioli, grembiuli e strofinacci giornalieri.
I tessuti realizzati col fior di lino richiedevano, per essere perfetti, che ordito, stamini (filo di lino o di cotone) e trama fossero realizzati con il medesimo filato, mentre quelli confezionati con la stoppa erano tessuti usando il cotone per l’ordito, per cui avevano maggiore resistenza e durata.
Il tessuto di lana e d’orbace (su tessingiu de lana e de obraxi)
Il colore nero si otteneva facendo bollire in acqua abbondante le chiome di una pianta bassa (su truiscu). Una volta scolate, nell’acqua rimessa a bollire, dopo aver aggiunto solfato di ferro, si immergeva l’orbace lasciandolo a fuoco per qualche ora, fino a ottenere il caratteristico colore nero cupo e lucido.
Per ottenere il colore rosso venivano fatte bollire, separatamente, le chiome di rovo, di carrubo, di lentisco; il rosso veniva usato soprattutto per le gonne del costume femminile.
Le tinte per i colori degli indumenti venivano tutte ricavate dalle piante e venivano utilizzate anche per impreziosire i filati di lana. I bellissimi motivi dei tessuti sardi di lana prendono spunto dalla natura, dal sentimento religioso e dalle tradizioni dell’isola.
Lavori maschili
In passato il pastore seguiva costantemente il suo gregge negli spostamenti tra i terreni pascolativi per evitare sconfinamenti nei terreni agricoli e questa occupazione lo teneva lontano dal paese per lungo tempo. Il suo pasto era a base di pane e formaggio o lardo, il mezzo di trasporto era l’asino o il cavallo per i più benestanti. Il lavoro si differenziava secondo le stagioni. Nel periodo estivo la vita del pastore era meno disagiata, poteva rientrare più spesso in paese; la notte vegliava le pecore che pascolavano nelle stoppie e, di giorno nelle ore più calde, quando il gregge si spostava a meriai (in un riparo ombreggiato costruito con le frasche), riposava.
In autunno l’impegno era maggiore: la nascita degli agnelli comportava, infatti, l’assistenza alle pecore che venivano trasferite dall’ovile (cuili) al recinto (sa corti). Il latte veniva munto dentro un recipiente e versato in brocche per il trasporto oppure lavorato, dal pastore, per la produzione del formaggio.
In primavera avveniva la marchiatura degli agnelli destinati all’allevamento, con l’incisione – su sinnu (il segno identificativo dell’animale) – di un orecchio. Verso maggio-giugno veniva fatta la tosatura (su tundidroxu). La tosatura era anche occasione di festa. Per tosare venivano usati is ferrus de tundi, la lana veniva raccolta in sacchi di orbace e utilizzata per la tessitura.
La lavorazione del latte
Ancora oggi qualche anziano pastore produce il formaggio per uso familiare.
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