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Le chiese, santi e leggende
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    Parrocchia di San Giacomo apostolo vista dalla campagna sottostante.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Vista della parrocchia di San Giacomo all’imbrunire.
    Foto di Sandro Gallo, archivio fotografico dei mandaresi.

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    Parrocchia di San Giacomo apostolo; aprile, 1993.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Parrocchia di San Giacomo (1585-1605) in stile gotico-catalano.
    Foto dell’archivio comunale.

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    Facciata della chiesa di San Giacomo.
    Foto dell’archivio comunale.

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    Prospettiva della chiesa di San Giacomo.
    Foto dell’archivio comunale.

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    Portone principale della chiesa di San Giacomo.
    Foto di Maura Crabu.

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    Chiave di volta con inciso lo stemma del Ducato di Mandas.
    Foto di Maura Crabu.

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    Stemma del Ducato di Mandas scolpito nella facciata principale della chiesa parrocchiale.
    Foto di Maura Crabu.

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    Campanile durante la ricostruzione in seguito al danneggiamento dell’originario a causa di un fulmine nel 1840 e completato nel 1928 per volere del canonico Dessì.
    Foto dell’archivio comunale.

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    Campanile durante la ricostruzione negli anni 1900-1928.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Lavori di ricostruzione (1900-1928) del campanile della parrocchia di San Giacomo con ponteggi e operai.
    Foto dell’archivio comunale.

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    Nuovo campanile parrocchiale completato, 1928.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Esterno della chiesa di San Giacomo, con arco d’ingresso e campanile.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Vista autunnale del campanile.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Campanile con palma.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Chiesa di San Giacomo vista dal complesso seicentesco di San Francesco e San Cristoforo.
    Foto di Sandro Gallo.

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    Vista posteriore della parrocchia di San Giacomo.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Vista laterale della chiesa di San Giacomo apostolo.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Piazzale e giardino con fiori e ulivi antistante la parrocchiale di San Giacomo.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Interno della chiesa parrocchiale di San Giacomo, anni Quaranta.
    Foto dell’archivio comunale.

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    Chiesa di San Giacomo apostolo, 2 ottobre 1948, addobbata per la festa della Madonna di Bonaria.
    Foto dell’archivio comunale.

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    Interno della chiesa San Giacomo.
    Foto di Maura Crabu.

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    Fonte battesimale in marmo policromo del 1760.
    Foto di Maura Crabu.

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    Cappella del fonte battesimale; particolare dell’arco di accesso, inflesso e terminante a giglio, ornato con fogliame stilizzato e due creature angeliche.
    Foto di Maura Crabu.

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    Cappella del Crocifisso; altare in legno intagliato e policromato in stile barocco, contenuto in una nicchia sormontata da un baldacchino con colonne tortili, contenente il gruppo ligneo raffigurante il Crocifisso, la Vergine e San Giovanni, 1732-33.
    Foto di Maura Crabu.

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    Altare marmoreo della Madonna del Rosario scolpito dal regio marmoraro Giovanni Battista Franco nel 1823.
    Foto di Maura Crabu.

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    Carta Gloria del Vangelo in argento sbalzato e cesellato.
    Foto dell’archivio parrocchiale.

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    Cappella di San Giacomo; baldacchino in legno intagliato e policromato commissionato nel 1712 dal parroco rettore Francisco Marcia Cordella ed eseguito dal noto siciliano Tomaso Recupo. La parte in marmo policromo è del 1823 della bottega del regio marmoraro Giovanni Battista Franco, su commissione del rettore Federico Gessa.
    Foto di Maura Crabu.

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    Volta del presbiterio.
    Foto di Maura Crabu.

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    Volta stellata del presbiterio in pietra tufacea.
    Foto di Maura Crabu.

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    Antica chiesa di San Cristoforo o della Vergine del Rosario, attigua alla chiesa parrocchiale. Edificata nel diciassettesimo secolo è sede, dal gennaio 2007, del museo di arte sacra Peregrinatio Fidei.
    Foto dell’archivio comunale.

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    L’antica chiesa di San Cristoforo.
    Foto dell’archivio comunale.

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    Complesso seicentesco di San Francesco e San Cristoforo.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Complesso seicentesco di San Cristoforo, sede del museo di arte sacra Peregrinatio Fidei.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Prospettiva dell’antica chiesa di San Cristoforo.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Contrafforti dell’antica chiesa di San Cristoforo.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Particolare dell’antica chiesa di San Cristoforo.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Complesso seicentesco di San Francesco e San Cristoforo.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Antica chiesa e convento di San Francesco. Il convento fu fondato nel 1610 a spese del duca di Mandas.
    Foto dell’archivio comunale.

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    Chiesa e convento di San Francesco prima del restauro.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Chiesa e convento di San Francesco prima del restauro.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Chiesa e convento di San Francesco dopo il restauro.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Convento di San Francesco dopo il restauro.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Parco di San Francesco, 2011.
    Foto di Sandro Gallo.

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    Complesso seicentesco di San Francesco, 2011.
    Foto di Sandro Gallo.

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    Convento di San Francesco innevato.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Dormitorio dell’antico convento di San Francesco.
    Foto dell’archivio comunale.

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    Ex convento di San Francesco.
    Foto dell’archivio comunale.

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    Dormitorio del convento di San Francesco.
    Foto dell’archivio comunale.

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    Dormitorio dei frati francescani sino al 1866, oggi foresteria comunale.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Complesso seicentesco di San Francesco.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Parte superiore del convento di San Francesco; vista su San Cristoforo sulla Parrocchia di San Giacomo.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Ingresso principale con archi del convento di San Francesco.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Chiostro di San Francesco.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Parco di San Francesco con vista su San Cristoforo e San Giacomo.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Complesso seicentesco di San Francesco.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Antico complesso seicentesco di San Francesco.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Complesso seicentesco di San Francesco.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Ingresso del complesso di San Francesco.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Particolare del chiostro di San Francesco.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Antica chiesa di San Francesco, oggi sede della biblioteca comunale.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Gli affreschi seicenteschi, nella prima cappella a sinistra, dell’antica chiesa di San Francesco.
    Foto dell’archivio comunale.

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    Gli affreschi seicenteschi che raffigurano gli apostoli e i santi.
    Foto dell’archivio comunale.

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    Affreschi seicenteschi; dettagli del livello superiore con apostoli e santi.
    Foto dell’archivio comunale.

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    Affreschi seicenteschi; particolare della volta con la Madonna e Dio Padre che regge la croce del Cristo crocifisso.
    Foto dell’archivio comunale.

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    Chiesa campestre di San Giovanni Battista.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Chiesa campestre di San Giovanni Battista.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Chiesa campestre di San Giovanni Battista.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Chiesa campestre di San Giovanni Battista.
    Foto di Sandro Gallo.

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    Interno della chiesa di San Giovanni Battista.
    Foto di Antonello Atzori.

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    Statua di San Giovanni Battista.
    Foto di Antonello Atzori.

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    Piazzale della chiesa di Sant’Antonio abate.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Compendio di Sant’Antonio abate.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Chiesa medioevale di Sant’Antonio abate, XII-XIII secolo.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Antica strada romana rinvenuta sotto il sagrato e la chiesa di Sant’Antonio abate.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Copertura lignea dell’interno della chiesa di Sant’Antonio abate.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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    Acquasantiera.
    Archivio fotografico dei mandaresi.

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Le chiese, santi e leggende

La chiesa parrocchiale di San Giacomo

La chiesa parrocchiale di San Giacomo apostolo sorge all’estremità sud-ovest dell’abitato, su un’altura con ottima vista panoramica. La sua costruzione, in stile gotico-catalano, avvenne tra il 1585 e il 1605, anno del suo definitivo completamento con l’ultimazione della sacrestia e del campanile, a opera dei maestri Gontinio Pinna e dello stampacino Miguel Valdabella. Il presbiterio quadrangolare della chiesa, coperto con volta stellare, ripropone il modello della volta della cappella destra della chiesa di San Giacomo a Cagliari. All’interno si possono constatare diversi stili: il presbiterio e alcune cappelle laterali sono in stile aragonese, altre cappelle appaiono più tardive e la sacrestia è barocca. La facciata principale è costituita, al centro, da un grande portale ad arco a tutto sesto, la cui chiave di volta è formata da una grossa pietra scolpita con lo stemma del Ducato di Mandas. Un rosone centrale e due finestre laterali simmetriche completano la parte centrale della facciata.


La sala per il culto è a pianta rettangolare con ampia navata centrale con copertura in ginepro poggiante su archi ogivali e con cinque cappelle laterali per parte, quasi tutte con volta a botte, tranne tre che hanno la volta a crociera, e una di esse è adibita a ingresso. La balaustra del 1833 è in marmo bardiglio estratto a Mandas. Il presbiterio è rialzato rispetto alla navata principale ed è coperto da una volta stellare in pietra tufacea, mentre il pulpito, del 1856, è in marmo bianco. Ai piedi della balaustra vi sono due artistici leoni in pietra, acquistati dal rettore Luigi Lissia Riccio il 19 settembre 1740. Nel paese c’era, infatti, una cava di marmo; con questo marmo, spedito a Cagliari dal rettore Federico Gessa nel 1830, fu costruito il basamento d’una statua romana, rinvenuta poi a Uta e volgarmente attribuita alla giudicessa Eleonora d’Arborea. La statua si trova oggi nel giardino pubblico di Cagliari.
L’altare maggiore è del 1777, in marmo prezioso, opera del regio marmoraro Giovanni Battista Franco; le nicchie sopra l’altare racchiudono tre belle statue in legno intagliato, dorato e policromo, raffiguranti San Gioacchino e Sant’Anna, del Settecento, mentre quella di San Giacomo apostolo, al centro, è di scuola toscana del Cinquecento e, seppure più antica delle altre, non faceva parte di questo gruppo statuario costruito per il nuovo altare maggiore, come testimoniano le dimensioni originarie della statua, di oltre due metri di altezza, che superano quelle della nicchia. Probabilmente la statua che completava il gruppo è quella tuttora utilizzata per la processione in occasione della festa patronale e realizzata dallo scultore sardo Michelangelo Mainas; la statua è gemella di un’immagine venerata a Orosei che raffigura l’apostolo con le insegne da pellegrino, come l’iconografia del santo, già nel Seicento, universalmente lo rappresenta.
Di notevole valore storico-artistico sono, nelle cappelle laterali, tre altari in legno intagliato e policromato in stile barocco, eseguiti da intagliatori sardi tra il diciassettesimo e il diciottesimo secolo. Particolarmente degno di nota è il retablo dell’altare del Crocifisso, nella terza cappella a destra, raffigurante il Crocifisso, la Vergine e San Giovanni, che il rettore Luigi Lissia Riccio fece realizzare dallo scultore Giuseppe Volpe e dai fratelli intagliatori Antonio e Francesco Carta nel 1732. L’altare fu poi dorato dal maestro Sisinnio Lai tra il 1733 e il 1734. In questa antica cappella si svolgono i principali riti della settimana santa.

Approfondimenti

Sotto l’influsso aragonese e poi catalano, la devozione per l’apostolo San Giacomo si era diffusa in tutta la Sardegna così come le leggende popolari. A Mandas la tradizione vuole che un carro che trasportava un simulacro del Santo si fermasse e non ci fosse verso di smuovere il giogo di buoi che lo trainava; da qui avrebbe avuto inizio la lunga costruzione della chiesa di San Giacomo (1585-1605), a opera dei maestri Gontinio Pinna, picapedrer habitant en vila nova de Caller, e dello stampacino Miguel Valdabella.
Il corpo rettangolare della chiesa è lungo 22 metri e largo circa 12, il coro, quadrato, misura 9 metri per 9. Le nicchie sopra l’altare maggiore racchiudono le statue in legno intagliato, dorato e policromo di San Gioacchino e Sant’Anna, del Settecento, e quella di San Giacomo del Cinquecento. Interessante l’accostamento delle tre statue: il legame logico che unisce i tre santi è oggi di non facile intuizione. Molti sono portati a pensare che ciò sia dovuto alla vicinanza delle rispettive feste liturgiche (25 luglio per San Giacomo e 26 luglio per i santi Gioacchino e Anna), ma ciò non corrisponde al calendario in vigore all’epoca; in effetti la ragione è più legata alla tradizione che attribuisce all’apostolo uno scritto apocrifo del secondo secolo, noto come il protovangelo di Giacomo, che ci ha trasmesso i nomi dei genitori di Maria. Anche la posizione dei due santi, situati nelle due nicchie ai lati dell’apostolo, ma quasi ortogonale a quella del patrono, per assecondare il movimento stesso delle statue che sembrano quasi affacciarsi verso la navata comparendo alle spalle del medesimo, esprimono plasticamente il senso della rivelazione dei loro nomi e quindi della loro vita, di cui San Giacomo avrebbe il merito.
Molto interessante è la quinta cappella a destra che presenta uno splendido arco di accesso, inflesso e terminante a giglio, con un ornamento a fogliame stilizzato e due creature angeliche. In questa cappella si trova il fonte battesimale fatto scolpire nel 1760 in marmo policromo; di pregevole fattura settecentesca era situato nella prima cappella a sinistra dal 1926 al 2004, anno in cui è stato riportato nella sua cappella originaria. Degne di nota sono anche la cappella del Sacro Cuore, che conserva le reliquie dei santi martiri Giustino, Celestino e Giusta, e la cappella della Madonna del Rosario, il cui altare fu scolpito da Giovanni Battista Franco nel 1823. Fissato all’arco del presbiterio è il magnifico lampadone in argento del Santissimo Sacramento, opera dell’orafo Luigi Montaldo che lo realizzò nel 1851.
Dovizia di vasi sacri e di altri argenti del Settecento e dell’Ottocento (vedi I gioielli devozionali), insieme a numerosi ex-voto, costituiscono il tesoro parrocchiale e, in particolare, una collezione di pezzi realizzati da Luigi Montaldo, argentiere a Cagliari, che sostituirono quelli sottratti in un furto sacrilego compiuto da ignoti nel 1840.
La sacrestia barocca, costruita nel 1601 dal rettore Saturnino Pitzalis, conserva una preziosa paratora lignea intagliata del 1640 e un dipinto di San Rocco. È coperta con una volta a botte e da essa si accede, attraverso un locale di servizio, al campanile.
Ancora si conservano nell’archivio parrocchiale i rendiconti che testimoniano come nel periodo in cui la parrocchia era retta dai parroci Salvatore Costanti (fino al 1599) e Saturnino Pitzalis (1599-1610) fervevano i lavori per la chiesa su volontà del Duca di Mandas, Don Pedro Maza Ladron y Mendoza, che fece porre sulla facciata della chiesa, nella chiave che sormonta il portone principale, il suo stemma.
Della stessa epoca era anche il campanile antico, alto circa 40 metri e situato al lato della facciata dove oggi si trova la cappella del fonte battesimale; danneggiato gravemente da un fulmine nel 1840, fu demolito completamente nel 1865 e ricostruito tra 1900 e 1928 per volere del canonico Ligas e del canonico Dessì.

Chiesa di Sant’Antonio abate

La chiesetta medievale di Sant’Antonio abate, edificata tra il dodicesimo e tredicesimo secolo, è ubicata nel cuore del centro storico. L’architettura è quella tipica delle chiese povere della Sardegna, con una copertura a capanna, a una sola navata. Vi aveva sede la confraternita delle Anime purganti, ora estinta.
Il 16 e 17 gennaio, con i festeggiamenti in onore del santo, si rinnova ancora oggi un’antica e secolare tradizione di Mandas. Un tempo, a cura della confraternita delle Anime purganti, i preparativi avevano inizio alcune settimane prima con la raccolta della legna a cui collaborava tutto il paese offrendo tronchi, rami e anche grano, fave e soldi. La legna raccolta veniva trasportata con i buoi e sistemata nel piazzale della chiesetta per allestire su fogadoni, il tradizionale falò. L’usanza di accendere il falò è uno dei tanti elementi etnografici che si unisce a quelli strettamente religiosi. L’utilizzo dei tronchi per fare il falò si collega al culto pagano dei nuragici che adoravano il legno: tali riti furono condannati dal papa Gregorio Magno. Al suono delle launeddas e di altri strumenti musicali, per tutta la notte, si cantavano i gocius dedicati al santo, si ballava intorno al falò mentre nella casa del priore si imbandiva una ricca mensa. Terminati i balli, a tarda notte, sino alle prime ore del mattino, intorno al fuoco restavano cantori improvvisati, poeti estemporanei e bevitori. Il 17 gennaio, dopo la solenne processione per le vie del paese, si celebrava la santa messa con panegirico. In lingua sarda, in onore dell’eremita. Al termine della celebrazione, ieri come oggi, si benedivano le candele e su pan’e saba e si distribuivano ai fedeli che onoravano il Santo cantando i gocius.

Convento e chiesa di San Francesco

Il convento fu fondato nel 1610 a spese del duca di Mandas; retto dai Frati Minori Osservanti Francescani, fu abbandonato nel 1866 con la soppressione degli ordini religiosi. La chiesa annessa al convento era dedicata a San Francesco; in seguito fu adibita a oratorio parrocchiale e sala teatro. Dal 2005, dopo il restauro, ospita la sede dell’Unione dei Comuni “Titulos, le terre dei feudatari”, una grande sala multimediale, l’archivio storico e la biblioteca comunale.
Di rilevante importanza, nella prima cappella a sinistra, sono gli affreschi seicenteschi che rappresentano, nei riquadri del primo livello, scene della Via Crucis, nel livello superiore, gli apostoli e i santi, nella volta, la Madonna e Dio Padre che regge la croce del Cristo crocifisso, ancora in fase di recupero e di studio.
I frati francescani furono allontanati da alcuni nobili locali. Quando lasciarono il paese, uno dei frati, disse: “Mai nisciunu mandaresu at a arrenesci a si ghetai acua a buca. Sceti su stràngiu nci at a arrenesci”.

San Giacomo Maggiore

San Giacomo è uno dei santi più venerati nella cristianità, apostolo, predicatore e martire, legato alla regione iberica poiché, secondo la tradizione, si sarebbe recato in quei luoghi per fare proseliti.
Mandas è capofila di una rete di comuni denominata “San Giacomo in Sardegna (Santu Iacu)” a cui appartengono Cagliari, Soleminis, Perdaxius, Orosei, Ittireddu, Nughedu Santa Vittoria, Goni e Noragugume, tutti accomunati dal santo patrono e, quasi tutti, dalla chiesa parrocchiale dedicata al santo.
San Giacomo apostolo, detto il Maggiore per distinguerlo dall’omonimo apostolo detto il Minore, fu presente ai principali miracoli di Gesù, alla trasfigurazione di Gesù sul Tabor e al Getsemani alla vigilia della Passione; pronto e impetuoso di carattere, come il fratello, vengono entrambi soprannominati da Gesù boànerghes che significa figli del tuono. Per questo motivo viene invocato contro i fulmini.
Primo tra gli apostoli, fu martirizzato con la decapitazione a Gerusalemme intorno all’anno 43 dopo Cristo per ordine di Erode Agrippa. Le sue spoglie vennero traslate dopo il martirio in Spagna e la sua tomba divenne meta di grandi pellegrinaggi. Il luogo prese il nome di Santiago.
È il patrono dei pellegrini, cavalieri, soldati e delle malattie reumatiche. Il nome Giacomo deriva dall’ebraico “che segue Dio”; i suoi emblemi sono il cappello da pellegrino, la conchiglia e lo stendardo.

Santa Barbara

A Santa Barbara e al patrono San Giacomo è legata una preghiera-scongiuro contro i fulmini:
Santa Barbara e Santu Iacu - bosàterus portais is crais de su lampu - bosàterus portais is crais de su celu - no tocheis a fillu allenu - ne in domu ne in su sartu - Santa Barbara e Santu Iacu.
La chiesa di Santa Barbara, sita nell’omonima località dove oggi si trovano le rovine di un vasto complesso nuragico, fu una delle prime a sorgere a Mandas, la sua costruzione risale al 1593. Oggi non esiste più.

San Luigi IX re di Francia

Nato nel 1214 a Poissy in Francia dal re Luigi VIII e da Bianca di Castiglia, ricevette un’educazione religiosa molto rigorosa da parte della madre. Divenne re a dodici anni, ma la reggenza venne assunta dalla madre che fece diverse crociate alle quali partecipò anche Luigi. Nel 1270, durante l’ottava crociata, Luigi si fermò a Cartagine per convertire il sultano. Scopo delle sue crociate era, infatti, la liberazione di Gerusalemme ma era forte anche il desiderio di evangelizzare i saraceni. Lo colpì però la peste e morì.
Il suo corpo fu bollito nel vino per separare le carni dallo scheletro. Fu un cattolico appassionato, assisteva alla messa tutti i giorni e ogni sera eseguiva cinquanta genuflessioni inginocchiato, accompagnandole con una Ave Maria, un’antica pratica irlandese dalla quale si originerà il Rosario.
Nel 1297 fu canonizzato da Papa Bonifacio VII. Si festeggia il 25 agosto.
La statua di San Luigi IX, in legno intagliato e dipinto, è stata realizzata da uno scultore sardo nel diciassettesimo secolo; recentemente restaurata è conservata nel museo di arte sacra Peregrinatio Fidei (vedi I musei).

Sant’Isidoro

Patrono di Madrid, la sua devozione si è diffusa in Sardegna con la dominazione spagnola. È protettore degli agricoltori.
La statua di Sant’Isidoro, dei primi del Seicento, è conservata nel museo di arte sacra Peregrinatio Fidei.

Sant’Efisio

È molto difficile distinguere, nel secolare culto per Sant’Efisio, la leggenda dalla realtà storica. Si narra che nacque a Gerusalemme intorno alla metà del terzo secolo dopo Cristo; il padre era cristiano, ma, quando morì, Efisio venne educato al paganesimo dalla madre. Arruolatosi nell’esercito romano divenne ufficiale durante l’impero di Diocleziano, il più spietato persecutore dei cristiani, e fu inviato in Italia a combattere contro i seguaci di Cristo. Fu illuminato dalla potenza divina che gli apparve sotto forma di croce e si convertì. Sulla mano destra, infatti, ha impresso il simbolo della croce. Giunse poi in Sardegna per combattere i barbaricini e si distinse riportando importanti vittorie. L’imperatore cercò di distogliere Efisio dalla nuova fede, ma egli rifiutò. Venne processato, incarcerato e sottoposto a terribili torture. Fu infine gettato tra le fiamme, ma il suo corpo non fu toccato dal fuoco che, invece, avvolse i suoi carnefici. Si ordinò così la morte di Efisio per decapitazione. Il santo fu martirizzato a Nora. Si festeggia il 1° maggio.
La statua di Sant’Efisio, in legno intagliato e dipinto, è stata realizzata da uno scultore sardo nel diciassettesimo secolo; è conservata nel museo di arte sacra Peregrinatio Fidei.

La Vergine Assunta dormiente

La venerazione della Vergine Assunta è stata diffusa in Sardegna dai Bizantini.
La statua della Vergine Assunta dormiente, in legno intagliato e dipinto, fu realizzata nel 1732 dallo scultore Giuseppe Volpe; i vestiti in seta e minuziosamente decorati sono opera di Pietro Mirello e risalgono agli anni Cinquanta; il diadema a cinque stelle, la corona e i sandali, tutti in argento sbalzato e cesellato, sono quelli realizzati dall’argentiere Ignazio Solanas nel 1713; la lettiga è in legno intagliato con decorazioni dorate e due angeli che reggono la corona.
La statua è custodita nel museo di arte sacra Peregrinatio Fidei.

Santa Vittoria

La festa di Santa Vittoria vanta origini antichissime; della chiesetta, di cui oggi si notano solo alcune rovine, si può dire che era a una sola navata. La chiesetta risulta ancora officiata nel 1870.
Vittoria e la cugina Anatolia, come raccontano i testi biblici, rifiutarono le nozze con due patrizi, perché consacrate a Dio. I due uomini, con il favore imperiale, le mandarono in esilio nei loro possedimenti in Sabina, presso la città di Tremula (oggi Monteleone Sabino, Rieti). In questo territorio c’era un terribile dragone, il cui sbuffo pestifero faceva morire uomini e animali. Domiziano, signore del luogo, si recò da Vittoria e la pregò di salvare la città dal drago, lei accettò a patto che lui e tutti gli abitanti diventassero cristiani una volta scacciato il dragone dalla città. Domiziano mantenne la promessa e fece diventare cristiani i suoi abitanti. Nella grotta in cui si trovava il drago Vittoria fondò un oratorio e si occupò di tutte le fanciulle vergini. Fu denunciata e uccisa con una spada perché si rifiutò di adorare la dea Diana.
La statua di Santa Vittoria, del sedicesimo secolo, in legno intagliato e dipinto, è custodita nel museo di arte sacra Peregrinatio Fidei.

San Rocco

San Rocco, nato a Montpellier in Francia, nacque con una croce vermiglia impressa sul petto perché dopo molte preghiere, i genitori, che non potevano avere figli, ottennero la grazia richiesta. Rimasto orfano a venti anni, donò tutto ai poveri. Dopo essersi affiliato al Terzo Ordine Francescano, andò in pellegrinaggio a Roma dove si fermò ad assistere gli ammalati di peste. Fece guarigioni miracolose tracciando il segno della croce sui malati, guarì anche un cardinale; si dedicò, in tutta l’Italia centrale, a opere di carità e di assistenza, promuovendo continue conversioni, finché scoprì di essere colpito anche lui dalla peste. Si allontanò così da Roma e si rifugiò in un bosco vicino; qui un cane lo salvò dalla morte per fame, portandogli ogni giorno un tozzo di pane. Il cane diventò, pertanto, il suo emblema. Dopo la guarigione riprese il viaggio per tornare in patria, ma implicato nelle vicende politiche del tempo fu arrestato come persona sospetta e imprigionato. Morì tra il 1376 e il 1379.
San Rocco è invocato contro le malattie del bestiame e contro le catastrofi naturali e, in particolare, è protettore dalla peste.
Il dipinto di San Rocco è custodito nella sacrestia della chiesa parrocchiale di San Giacomo; se ne trova anche una riproduzione nel museo di arte sacra Peregrinatio Fidei.

La settimana santa

I riti della settimana santa (sa cida santa) segnano il passaggio dal periodo della penitenza a quello culminante della resurrezione.
Tra i riti che si usava fare vi era la preparazione de su nènniri (misto di grano e orzo seminato su terriccio posto in vasi di terracotta o in piatti). Il Giovedì Santo questi contenitori venivano posti nell’altare del Crocifisso o ai piedi del Cristo morto.
I riti della settimana santa hanno inizio con la Domenica delle Palme. La popolazione si reca in chiesa con i rami d’ulivo e con le palme lavorate. Rami e palme benedette vengono poi portati nelle proprie abitazioni o nei luoghi di lavoro in segno di protezione.
Il Giovedì Santo vede la celebrazione della santa messa in Coena Domini, seguita dalla solenne veglia di preghiera. Il Venerdì Santo si ripropone il rito de s’iscravamentu, mentre la sera si svolge la processione con il Cristo morto o la Via Crucis (a seconda del volere del parroco, c’è chi celebra la Via Crucis il venerdì precedente e la processione con il Cristo Morto il Venerdì Santo).
Il Sabato Santo è dedicato alla riflessione, al raccoglimento e alla preghiera. Anticamente le campane venivano legate e i ragazzini ricordavano gli appuntamenti religiosi per le strade del paese suonando matracas e strociarranas.
A mezzanotte inizia la solenne veglia di Pasqua con l’ingresso trionfale in parrocchia di Gesù risorto. Le luci, spente sino a pochi minuti prima, vengono accese e le campane riprendono a suonare a festa.
La domenica mattina si svolge il rito de s’incontru (el encuentro spagnolo), con il saluto del Risorto alla Madre Maria, alla quale viene tolto il velo del lutto. Per questa processione viene utilizzata la statua del Cristo risorto, in legno intagliato e dipinto, realizzata nel diciottesimo secolo dallo scultore sardo Giuseppe Antonio Lonis e custodita nel museo di arte sacra Peregrinatio Fidei.

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