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Riti magici
  • images/morfeoshow/la_magia-3836/big/01 Portaprofumi.jpg522.jpg

    Portaprofumi o agoraio.
    Contenitore cilindrico in lamina d’argento con ornamenti in filo d’argento ritorto, con campanelli pendenti in lamina d’argento, catenelle in filo d’argento con piccole perle in pasta vitrea policroma.
    Collezione Cocco.

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    Portaprofumi o agoraio.
    Contenitore cilindrico in lamina d’argento con ornamenti in filo d’argento ritorto, con campanelli pendenti d’argento di forma allungata, catenelle in filo d’argento e pendente centrale costituito da una sabbegia incapsulata in calotte d’argento.
    Collezione Cocco.

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    Portaprofumi in vetro trasparente montato in argento con campanelli pendenti in lamina d’argento.
    Collezione I.S.O.L.A.

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    Portaprofumi o agoraio in oro e scaramazze, con campanellino pendente in lamina d’oro.
    Collezione I.S.O.L.A.

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    Spuligandentes in filigrana d’oro e granulazione con turchese.
    Collezione I.S.O.L.A.

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    Spuligandentes in lamina d’oro e granulazione con granati e pietre dure.
    Collezione I.S.O.L.A.

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    Amuleto pietra del fulmine, prima metà sec. XIX, montato in argento.
    Si riteneva che questa pietra cadesse dal cielo assieme al fulmine e portasse la pioggia; era considerata quindi simbolo di fertilità e di protezione durante la gravidanza.Collezione privata,
    dal volume Gioielli, Nuoro, Ilisso, 2004

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    Amuleto pietra del tuono, prima metà sec. XIX, argilla cava contenente un seme, montati in argento.
    Quando l’amuleto viene scosso il seme, simbolo di fertilità, produce un rumore che ricorda il tuono; il suono ha da sempre una valenza apotropaica di allontanamento delle forse negative.
    Collezione privata,
    dal volume Gioielli, Nuoro, Ilisso, 2004

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    Amuleto in pasta vitrea lattescente montato in lamina d’argento.
    Veniva portato sul seno dalle donne nel periodo dell’allattamento per favorire la produzione del latte e aveva, inoltre, la funzione di proteggere i neonati dal malocchio.
    Nuoro, Museo della vita e delle tradizioni popolari sarde,
    dal volume Gioielli, Nuoro, Ilisso, 2004

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    Sonagli in lamina d’argento e grani in pasta vitrea rossa.
    Collezione Cocco.

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    Pendente amuleto.
    Dente montato in oro.
    Collezione I.S.O.L.A.

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    Pendente amuleto.
    Corallo montato in lamina d’oro.
    Collezione I.S.O.L.A.

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    Ciprea montata in argento con ornamenti in filo ritorto e campanelli in lamina d’argento pendenti.
    Per la chiara allusione all’organo genitale femminile era considerata in grado di propiziare fertilità e ricchezza; veniva chiamato anche sorighe, soriche de mare, porceddana de mari.
    Collezione Cocco.

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    Amuleto composito.
    Due cipree montate in argento, di cui una in vetro con campanellini in argento pendenti, l’altra formata da una conchiglia, un campanellino d’argento pendente e due piccole perle in pasta vitrea azzurra pendenti; un cilindro di vetro montato in argento; una goccia di vetro sfaccettato montato in lamina d’argento; un occhio di Santa Lucia montato in lamina d’argento; una teca in argento contenente un frammento di tessuto sottovetro montata in lamina d’argento e un dente montato in argento, raccordati da una catena d’argento.
    Collezione I.S.O.L.A.

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    Sabegia.
    Globo in pasta vitrea nera, incapsulato in lamina d’argento incisa, con campanello in argento e grano montato in argento pendenti.
    Nuoro, Museo della vita e delle tradizioni popolari sarde,
    dal volume Gioielli, Nuoro, Ilisso, 2004

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    Spilla sabegia.
    Globo in pasta vitrea nera, incapsulato in calotte di filigrana d’oro e sostenuto da piastrine in filigrana d’oro con piccole perle di corallo.
    Collezione I.S.O.L.A.

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    Amuleto “occhio di Santa Lucia” montato in argento.
    Nuoro, Museo della vita e delle tradizioni popolari sarde,
    dal volume Gioielli, Nuoro, Ilisso, 2004

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    Reliquiario circolare contenente entro vetri un frammento di tessuto, montatura in lamina d’argento e filo ritorto.
    Nuoro, Museo della vita e delle tradizioni popolari sarde,
    dal volume Gioielli, Nuoro, Ilisso, 2004

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    Sabegia.
    Globo in pasta vitrea nera, incapsulato in lamina d’argento incisa, con campanello in argento e grano montato in argento pendenti.
    Nuoro, Museo della vita e delle tradizioni popolari sarde,
    dal volume Gioielli, Nuoro, Ilisso, 2004

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    Spilla sabegia.
    Globo in pasta vitrea nera, incapsulato in calotte di filigrana d’oro e sostenuto da piastrine in filigrana d’oro con piccole perle di corallo.
    Collezione I.S.O.L.A.

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Riti magici

Burcei. Virginia Marcia compie il rito per il mal di testa. Foto di Carlo Ballocco.In Sardegna, specialmente nelle campagne, persistono ancora antiche tradizioni magiche, tanto che molti confidano ancora oggi nel soprannaturale, così come nei rimedi della medicina popolare; persistono ancora regole d’una vita che riflette, in molteplici aspetti, epoche pagane con certi riti e usanze mai mutati, che si avvalgono di scongiuri, preghiere, formule propiziatrici: sos berbos (o brebus).

Malocchio, magia e superstizione sono fortemente presenti nella tradizione popolare sarda; attraverso i riti magici, infatti, gli uomini cercano di proteggere se stessi e gli animali dalla cattiva sorte.


La magia è un’arte praticata soprattutto dalle donne. Questo era, infatti, uno dei grandi ambiti in cui la donna sarda era protagonista e affermava se stessa: essere depositaria dell’arte magica dava alla donna l’opportunità di avere un ruolo sociale distinto dall’ambito familiare. Le doti magiche erano acquisite in eredità dalle madri che insegnavano alle proprie figlie un linguaggio di formule e riti da usare sia per fini terapeutici che per i sortilegi. “Avere fede in Dio, credere, conservare il segreto del rito” sono espressioni tipiche di un linguaggio in cui è evidente come fede e magia si intreccino dando vita ad un sincretismo magico-religioso in cui i valori pagani sono inestricabilmente legati ai valori cristiani.

Il rito che più frequentemente si faceva era quello contro il malocchio. Quello più comune vedeva le “donne pratiche o medichesse”, gettare alcune gocce d’olio dentro un recipiente pieno d’acqua e recitare degli scongiuri; spesso però le medichesse ricorrevano alle preghiere. In tantissimi casi infatti “la medichessa” prima di qualunque pratica di medicina popolare, si munisce di oggetti appartenenti alla religione cristiana oppure si fa il segno della croce. L’uso di amuleti, invece, aveva un valore di protezione ed era riservato a tenere lontano il malocchio.

Max Leopoldo Wagner ha scritto in Il Malocchio e credenze affini in Sardegna:
«La jettatura è chiamata in Sardegna: okru malu (nuor.), (…), ogu malu (camp.), (…).

La persona che produce la jettatura, è in generale inconscia della sua triste prerogativa, ma si capisce, è odiata e fuggita per i mali di cui è causa. La qualità di jettatore non è acquisita, ma proviene dal sangue, cioè è congenita; essa si manifesta per gli occhi, che hanno una conformazione tutta speciale. Lo jettatore ha per lo più gli occhi loschi e guerci, od è monocolo, o ha gli occhi fatti a punta, acuminati. Si chiama perciò oyi malu, cioè «dagli occhi cattivi», od anche oyi punzurúdu (dagli occhi a punta), e persino óyi literadu, perché si crede che gli jettatori che sanno leggere e scrivere siano i più terribili. (…).
Poiché non è facile distinguere chi abbia l’attitudine a ponner oyu, è prudente che lo stesso individuo che fa un qualche elogio, aggiunga tosto la formula di scongiuro: E ki Deus ddu manténgada! (e che Dio lo mantenga) nel Campidano, Deus lu beneíkata! (Dio lo benedica) o Deus bor várdete! (Dio vi guardi) nel Nuorese, (…).
Se di presenza ammiriamo e chiamiamo bello un bambino, la mamma irata o la nutrice grida:
Tókkalu (toccalo) oppure Rúspyalu (sputalo), non li pónzes oyu! (non jettarlo); perché, toccando la persona o l’oggetto bello o sputandoci addosso, si evita ogni influenza maligna, che potrebbe emanare inconsapevolmente dal proprio sguardo. (…).
Quando si scopre una jettatura prodotta da persona conosciuta, il rimedio è relativamente semplice: si porta da essa la bestia o il bambino affetto di malocchio, ed ella lo liscia con la mano destra, e subito si ottiene la guarigione.
Sono i casi più semplici questi per i quali basta il «toccasana». Ma il più delle volte si resta inconsapevolmente colpiti da ignoto malocchio; ed allora altro non resta che ricorrere allo scongiuro, praticato dalla fattucchiera, cui toccò la sorte di avere per eredità il titolo od il simbolo, (…)».

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